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La terra dei morti viventi

Regia di George A. Romero vedi scheda film

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La recensione su La terra dei morti viventi

di ROTOTOM
8 stelle

La tetralogia del caro estinto è compiuta. Romero torna al primo amore dopo 20 anni per concludere il discorso aperto nello splendido bianco e nero de "La notte dei morti viventi", proseguito con "Zombi/Down of the dead(L'alba dei morti viventi)" e temporaneamente concluso con "Il giorno degli zombi". La serie è sempre stata metaforicamente connotata da un grande spirito reazionario e di denuncia verso la società moderna, il consumismo, il cieco totalitarismo del potere. In questo ultimo capitolo in cui gli ultimi umani vivono barricati in un gigantesco centro commerciale vivendo una vita plastificata e replicante degli status e del benessere a cui ambisce ottusamente l'uomo, la metafora prevarica il racconto in sè, la storia è accessoria all'intenzione di denunciare la palese violenza del mondo odierno tanto da rendere gli zombi e le loro carneficine un corollario pittoresco di un sistema totalitario e classista che ricorda tanto le divisioni Owelliane di 1984. Gli zombi, prima corpi senza cervello che per un riflesso condizionato tentavano di ripetere ciò che racevano in vita, qui cominciano ad avere un briciolo di consapevolezza del sè, della propria condizione, una scintilla di ragione di Kubrikiana memoria. Mortificati dalle scorribande umane che si risolvono in massacri gratuiti, prendono coraggio e attaccano disperatamente l'isola felice dei sopravvissuti, distruggendone il benessere, i simboli, violandone la quiete e la pace ricostruiti su modelli consumistici e dittatoriali. Gli uomini che non possono fare a meno di consumare per essere vivi, si trasformano quindi in cibo, in merce da consumare in una catartica inversione di ruolo cresciuta nel tempo negli episodi precedenti e culminata in quest'ultimo apocalittico epilogo. L'impeccabile messa in scena, con la giusta dose di gore affidata alle artigianali doti del fido Tom Savini, non basta però a elevare questo film ai livelli dei precedenti pur essendo comunque buono. Manca lo straniamento, il senso di disperazione, di vuoto, lo scoramento degli umani di fronte alla non morte non riuscendo quindi a coinvolgere appieno lo spettatore che liberato dal senso d'angoscia dei primi episodi, si trova di fronte ad un film del filone post atomico o industrial-decadente alla Carpenter. A Carpenter infatti vanno i richiami a l'assedio di "Distretto 13 le brigate della morte", "Fantasmi da marte", "Fuga da New York" e non è dato sapere quanto sia voluta questa corrispondenza di stile estranea al Romero conosciuto fino ad oggi anche se in alcune scene ritorna pienalente la mano del Nostro: una mano strappata in controluce, zombi che emergono dall'acqua, l'ironia in genere che pervade tutto il film, l'idea affascinante dei "fiori del cielo" ovvero fuochi d'artificio sparati nella notte per distrarre gli "infetti", come vengono chiamati gli zombi, mentre gli uomini fanno incetta di cibo e medicinali al di fuori della zona protetta. Questo è Romero e di Romero è il gore, dicevo, espilcito ma neppure poi tanto, non disturba e questo, riprendendo il discorso delle metafore, è il difetto maggiore del film. "Down of the dead" era straordinario nel suo anticipare i tempi, nel condannare la futura direzione consumistica della società e nel gelo delle luci aritificiali del centro commerciale gli smembramenti erano realmente sconvolgenti, l'uomo trasformato in merce non lo si immaginava a quel tempo. Questo uso a tutti i costi della storia come metafora sociale ne "La terra dei morti viventi" risulta un po' forzata, non anticipa nulla perchè è tutto lì, tutti i giorni sotto i nostri occhi, non ci sarebbe bisogno di sottolinearlo ulteriormente, risultando un esercizio didascalico e grossolano. Un taglio meno politico e più horror sarebbe stato a questo punto realmente spiazzante in un periodo in cui ogni film contiene, conterrebbe o deve contenere per forza un riferimento ai fatti di guerra, terrorismo e attualità in genere. Gli zombi purtroppo hanno definitivamente perso tutta la loro carica sovversiva di romantico sbigottimento alla non-vita diventando sempre più simili ai personaggi di una realtà assolutamente più demente di loro. Le prove degli attori sono tutte nella norma, senza nessuna punta di eccellenza o di demerito, Asia Argento coattona rifà sostanzialmente sè stessa e il ridoppiarsi non le giova affatto. L'eroe (Joy) è buono e biondo, l'antieroe (Leguizamo) è brutto e moro, il cattivo (Hopper)è subdolo e condannato, l'oggetto del contendere un mezzo blindato di sopravvivenza che assomiglia tanto tanto ad un treno catalizzatore di assalti vari. I canoni del Western postmoderno ci sono tutti, canoni anche questi più cari a Carpenter che a Romero, una contaminazione di stili che non fa gridare al miracolo ma che rende piacevole la visione di un film diligentemnete e sapientemente incanalato in situazioni conosciute, riconoscibili e paradossalmente, visto il tema, rassicuranti.

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