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La guerra dei mondi

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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La recensione su La guerra dei mondi

di FilmTv Rivista
6 stelle

Un convulso wekeend di terrore alieno. Un attacco alla Terra da parte di intelligenze piÙ acute, sviluppate e spietate di quella del genere umano. Esseri superiori o che si considerano tali che hanno nascosto nel sottosuolo i loro tripodi prima che l’homo sapiens cominciasse ad abitare e a prendere possesso del pianeta. Esseri più deboli del nostro organismo forgiato da malattie ed epidemie. Alieni indifesi di fronte ai germi, al sangue infetto, ai virus. Immunodeficienti ad alta tecnologia (a vederli sembrano dei gremlin metallizzati). La paura dell’attacco e dello scontro di terzo tipo con altri coloni di altri mondi riflette, dal 1898, l’anno in cui H.G.Wells pubblicò l’omonimo romanzo di fantascienza, e oggettiva paure profonde che cambiano nel tempo, avvinghiandosi alle angosce delle svolte storiche. La ”cosa” assume le forme che la nostra società politica e civile e il nostro inconscio decidono che abbia. Nel 2005, a quattro anni dalla tragedia dell’attacco alle Twin Towers, l’aggressione agli Stati Uniti (alcune comparse in fuga dalle città danno notizie contrastanti sulle sorti dell’Europa), Paese emblema e sintesi di un modello di civiltà, la minaccia (lo ripetono-chiedono i due ”figli” del gruista Ray-Tom Cruise, Rachel-Dakota Fanning e Robbie-Justin Chatwin) è quella dei terroristi. La guerra tra il nostro mondo, il nostro modello di vita, la nostra cultura e quelli dei barbari dello spazio che ”bevono” le persone, ne succhiano il sangue, lasciano rigagnoli solidificati in un paesaggio trasformato in un landa purpurea, abbattono chiese e palazzi e polverizzano gli uomini e le donne con i loro raggi di luce non prevede armistizi, o trattative. Prevale la legge del più forte e la debolezza e le imperfezioni del corpo umano sono l’arma segreta in questa battaglia che deve riaffermare l’indipendenza e la libertà. L’impianto spettacolare del conflitto, il crescendo di paura, insicurezza, morte, le visioni apocalittiche, il susseguirsi serrato e ascendente di incidenti e catastrofi sostiene la prima parte del film e ne fa un ottimo esempio del cinema catastrofico raffinato dalla ricerca digitale degli effetti speciali. La tempesta di fulmini che è il prologo dell’offensiva, il passaggio del treno in fiamme, le autostrade intasate da una folla spaventata e disorientata e da automobili inchiodate all’immobilità, i cadaveri trascinati dalle acque del fiume, il traghetto preso d’assalto, la polvere bianca che sembra la stessa che ricopriva gli attoniti superstiti e testimoni del crollo delle torri newyorkesi, il blackout elettrico che fa fare un balzo nel passato alle abitudini e alle comodità quotidiane, lo sbucare dagli alberi dei tripodi sono più interessanti, avvincenti e “cinematografiche” dell’altro nucleo del racconto che descrive abbastanza male, nell’apocalisse planetaria, il disagio di un padre (una figura simbolica e narrativa non controllata completamente da Steven Spielberg) che non sa essere paterno, autorevole e rassicurante per un figlio ringhiante (l’interpretazione di Chatwin non convince) e una figlia con attacchi di panico, friabilità sfuse e allergie al burro di arachidi (la Fanning è diventata lo standard di se stessa). Il babbo divorziato (Tom Cruise che è in genere un bravo attore, qui offre una prova senza mordente, sbiadita) vuole proteggere i due figli, vuole riconquistare un ruolo nella loro vita, vorrebbe imparare a cantare le ninne nanne che non ha mai cantato, vuole guadagnarsi il diritto di essere chiamato “papà”. Il cataclisma galattico e quello domestico non si compenetrano, non interagiscono soprattutto per colpa di una sceneggiatura meccanica e mediocre. Ridimensionato lo stupore e le epifanie dell’invasione, il film e i personaggi finiscono in uno scantinato presidiato da un Tim Robbins invasato e sotto shock, pronto a battersi in nome di una resistenza a oltranza. Con quest’incontro nella trincea sotterranea il film si siede e si spegne, nonostante la suspense del braccio-video che esplora e cerca umani da catturare. Le chiacchiere e il confronto tra i due uomini sono una digressione lunga e superflua, un film nel film. Con l’aggravante dell’ingresso in campo degli alieni (vedere l’invisibile è un ossimoro, un errore, un rischio insostenibile). Il rispetto per Spielberg non modera il fastidio per un lieto fine posticcio e illogico.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 27 del 2005

Autore: Enrico Magrelli

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