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La samaritana

Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film

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La recensione su La samaritana

di Inside man
5 stelle

Un Kim Ki-duk spento, stereotipato, vittima di una crisi creativa capace di portarlo in più sequenze a toccare punte di ingenua banalità. “La samaritana” possiede i caratteristici elementi di acerbità ed irrisolutezza degli inizi di carriera di un giovane regista, mentre purtroppo è l’undicesima opera di uno dei massimi autori del cinema degli ultimi quindici anni. Fra le stonature più evidenti si notano una sceneggiatura confusa (con il brusco avvicendarsi dei tre protagonisti senza un’equilibrata continuità narrativa), il ritmo altalenante, interpreti mediocri, ed un’inconsueta trascuratezza formale, sia visiva che sonora, in grado di far balzare subito alla mente, per antitesi, gli splendidi esiti estetici (e non solo) de “L’isola”, “Bad guy”, “Indirizzo sconosciuto”. Il cineasta coreano, prima dell’altrettanto deludente “L’arco”, conferma l’avvio di una fase involutiva inquietantemente equiparabile a quella sofferta da uno dei suoi maestri riconosciuti: l’Antonioni post “L’eclisse” (naturalmente fatta salva l'eccezione di "Professione reporter"). Il prevedibile entusiasmo critico nel 2004, all’epoca dell’uscita, potrebbe spiegarsi con un fraintendimento dovuto alla visione cronologicamente inversa della sua filmografia (cui non sono esenti i ben noti problemi distributivi). Considerando l’innegabile portata innovativa dell’artista coreano e vedendo in primis le pellicole più recenti, non si poteva non rimanerne profondamente colpiti. Chiaramente, riportando il tutto alla corretta scansione storica, diviene analiticamente lampante individuare l’eccellenza della resa (per originalità, poetica, lirismo, e potenza figurativa) nei primi lungometraggi fino a “Primavera, Estate, Autunno, Inverno..” . In sostanza, orientando filologicamente i valori esegetici, la rilettura dell’opera di Kim Ki-duk da “La samaritana” in poi (contrassegnata dalla sterile riproposizione delle medesime tematiche, stilemi e scansioni), fa trasparire inequivocabilmente la comparsa di un affettato, seppur prezioso, manierismo.

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