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L'ultima casa a sinistra

Regia di Wes Craven vedi scheda film

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La recensione su L'ultima casa a sinistra

di Kurtisonic
6 stelle

Ha tutte le caratteristiche del Bmovie, eppure questo esordio di Wes Craven, regista di punta dell’horror sprigiona un fascino che inquieta e mantiene una sua capacità attrattiva che va oltre la semplice curiosità di vedere come va a finire la storia. Dal punto di vista contenutivo o ideologico, come se non bastasse la nota introduttiva con le istruzioni per l’uso del film che ci appaiono un po’ ridicole, si potrebbe inserire semplicemente L’ultima casa  a sinistra nel filone stupro e vendetta, rape and revenge che negli anni a seguire sfornerà diversi titoli sul genere. Adattati e preparati dalla estetica moderna di oggi, il pubblico è abituato a dosi di violenza in quantità industriale che supererebbero con una certa sufficienza quella avanzata nel film di Craven. Se dunque il racconto morale è flebile per la debole introspezione sui personaggi, è il lavoro sull’immagine che trasmette qualcosa che va oltre il film stesso, che tocca indelebilmente la parte più oscura della coscienza di chi guarda. Prima di assistere ad uno spettacolo in un quartiere malfamato, due brave ragazze in cerca di droga cadono nelle mani di una spietata gang di maniaci che non esiteranno a fare di loro ciò che vogliono. I bruti, come nel bergmaniano Fontana della vergine, verranno ospitati nella casa dei genitori di una delle ragazze. Imprescindibile è l’epoca in cui il film è stato fatto, il clima sociale e politico dell’America alle prese con tensioni che andavano moltiplicandosi in ogni settore sociale. Se la violenza cominciava a venire ripresa in modo più crudo e realistico secondo i canoni espressivi dei registi emergenti  del momento, la nudità, il sesso erano ancora lontani da una esplicazione visiva autentica (salvo che non si parlasse già di pornografia). Questi due aspetti sono gestiti da Craven in modo inusuale e meritano di non passare inosservati. Anche se i codici horror sono abbastanza in evidenza, la violenza fisica viene esportata con abilità soprattutto fuori dallo schermo (ad eccezione del finale) nella prima metà del film che è quella più interessante, l’orrore è quasi totalmente filtrato e occultato , viene percepito fuori dall’immagine, conferendo alla pellicola un’intensa sensazione di tensione e di disagio. La gang è rappresentata quasi allo stesso modo in cui si pongono con leggerezza le due ragazze, desiderose di crescere e di fare nuove esperienze.  I criminali scherzano fra di loro, amicizia, piccole rivalità, gelosie, gesti solidali, sembra che possano esprimere un potenziale romantico anche se malvagio, ben presto però appariranno per quello che sono. Quando le ragazze escono di scena, la brutalità viene formalizzata con inquadrature parziali dei loro sequestratori, con tagli dell’immagine dei corpi sintonizzati nell’armonia della natura in cui sono immersi, una natura in cui convive anche qualcosa di spaventoso e maligno, la regia anziché indugiare sui dettagli delle violenze riprende gli avambracci insanguinati, le mani sporche in una luce oscura e poco comprensibile, dalle quali lo spettatore misura la propria percezione dell’orrorre. Culminerà con un’inquadratura di uno squartamento ai danni di una delle vittime ma è il lavoro precedente che rende visibile(accettabilmente visibile) la scena brutale. Stessa cosa per le scene di nudo, e dello stupro, i corpi non sono offerti gratuitamente allo sguardo dello spettatore che non si sente mai complice di ciò a cui assiste, sente solo di essere posto di fronte ad una messinscena assolutamente priva di espedienti  scenici funzionali e spettacolari, tutto avviene sotto un’insolita luce di normalità rispetto all’azione che si svolge e che disturba non poco. La seconda parte, quella riservata alla vendetta rivela tutta l’ingenuità della costruzione narrativa, basti pensare al pressapochismo con cui viene gestita la trasformazione emotiva dei due genitori-vendicatori dalla scoperta della verità all’attuazione del loro piano punitivo. Finale adatto a soddisfare anche i palati meno attenti e che contiene quella caratteristica del gioco al massacro che Craven dimostrerà di gradire anche con successivi lavori.

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