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Broken Flowers

Regia di Jim Jarmusch vedi scheda film

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La recensione su Broken Flowers

di Decks
8 stelle

Di certo, non è l'originalità ciò che cerca Jim Jarmusch, tanto che senza il suo stile inconfondibile avremmo di fronte l'ennesima storia trita e ritrita.

Jarmusch dimostra che non c'è bisogno di scervellarsi alla ricerca di storie singolari e audaci, ma che con semplici accorgimenti si possa creare un film unico e indipendente, che trasuda post-modernismo da qualsiasi inquadratura.

 

Proprio come Jean Eustache (a cui è dedicato questo film) Jarmush si avvale di uno stile di ripresa statico, con lunghi piani sequenza, soffermandosi su particolari oggettistiche o ambienti, concepiti come espressioni dello stato d'animo degli individui che li attraversano o ci vivono.

In questo caso, il regista, si adagia particolarmente sul colore rosa: esso è più volte messaggero o indizio fondamentale per lo spettatore e per il protagonista; quest'ultimo, si ritroverà a guardare con insistenza qualsiasi cosa possegga quel determinato colore (che sia un biglietto da visita, una macchina da scrivere o persino dei jeans) unico mezzo capace di chiarire questo mistero così ingarbugliato.

Come un Edipo moderno, Don segue queste tracce per interrogare questi quattro oracoli, non per scoprire le sue origini, ma la sua paternità: un on the road dell'anima che spiazza e sconcerta. Don non si scontrerà solamente con le donne del suo passato, ma proprio con quel colore simbolo di femminilità e ottimismo: costretto a vedere tutto rosa anziché tutto nero come all'inizio della storia, in cui era avvolto nel pessimismo e in un limbo temporale ove è ancora il solito seduttore di trent'anni fa.

Purtroppo nulla è immutabile e Don Johnston, proprio come quel Don Giovanni del teatro, lo capirà di persona, ritrovandosi a pentirsi di aver condotto una simile vita, con una non indifferente crisi d'identità e un figlio mai ritrovato: un mistero, questo, che non si risolve e dilania Don e noi spettatori, nel suo essere inconcludente, degna del miglior romanzo di Thomas Pynchon, in cui le interpretazioni sono difficilmente enumerabili.

 

 

Tanto di cappello a Mark Friedberg e Jim Jarmusch dunque: il primo è stato capace di contrapporre in differenti location rosa e nero, tramite tocchi geniali e intuitivi, che vengono particolarmente apprezzati dal pubblico: esso si immedesima con il protagonista alla ricerca di ogni piccolo segno rivelatore, incuriosito e smarrito in questo variegato sottobosco femminile.

Il secondo, invece, ha una regia posata e dei piccoli tocchi di cinepresa che dimostrano la grande maestria con cui è possibile comunicare emozioni e cose non dette, più uno sguardo professionale rivolto ai primi registi degli anni 30.

Jarmusch scrive una sceneggiatura e un soggetto che ben pochi altri avrebbero saputo realizzare. Un racconto denso di post-modernismo, che, come affermava il filosofo Lyotard, è incredulità nei confronti delle metanarrazioni, trascinandoci in una forte corrente di cambiamento: basti pensare all'immersione nel passato sentimentale di Don, o all'ultimo dialogo con Winston alla tavola calda, in cui Don arriva a considerare che questa sia tutta una gigantesca trama ordita dal suo vicino. Un pensiero che solo un protagonista post-moderno avrebbe potuto avere.

 

 

Non scordiamoci del grande talento di Bill Murray: non si dimentica facilmente la sua intepretazione pessimistica e malinconica di vivere; tramite degli sguardi rattristati e persino semplici rughe di espressione, tratta meglio di qualsiasi parola il suo complesso personaggio; i suoi movimenti e la sua cadenza vocale lo rendono sensazionale, tanto che persino le brave attrici quali Sharon Stone e Jessica Lange, non riescono minimamente ad intaccare la potenza di questo personaggio, restando per lo più secondarie. Non ci si stupirebbe nel ritrovarlo in qualche racconto o romanzo di Calvino, Borges o Pynchon.

 

Bisogna ammettere che il lungometraggio non sia particolarmente innovativo: sia la parte sentimentale che quella del viaggio sono state ampiamente trattate, da Jarmusch ci si poteva aspettare una storia più caratteristica.

Può essere persino ripetitivo il percorso di Don, che si limita a rispettare la sua lista di ex senza alcun sussulto, se non una scazzottata finale. Fortunatamente, la varietà caratteriale delle donne, più il ritmo sarcastico e ironico del film aiutano a procedere senza che sopraggiunga la noia.

Risulta frastornante la colonna sonora: tutti brani ottimi, ma il loro enorme ecletticismo, che spazia dal soul alla musica classica, dal pop al garage rock è un po' troppo discorde, considerando che la pellicola rimane costantemente su un'atmosfera malinconica.

 

Un piccolo gioiello in stile registico ed espositivo, con una delle migliori interpretazioni di Murray, pecca forse in originalità, ma resta l'ennesima prova della bravura di questo artista indipendente.

Una commedia agrodolce, che come un fiore, sboccia in un tripudio di colori e in una straordinaria bellezza, con un gran numero di petali (metafora delle possibili interpretazioni).

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