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Broken Flowers

Regia di Jim Jarmusch vedi scheda film

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La recensione su Broken Flowers

di ROTOTOM
6 stelle

Il processo di marmorizzazione espressiva di Bill Murray prosegue senza soluzione di continuità, complice la rarefatta messa in scena di un Jim Jarmusch minimalista fino all'autolesionismo. L'immobile divo, qui Don Johnston attempato play boy, non fa una piega quando la giovane e vitale lei lo molla. Sul caminetto le rose cominciano a piegersi stanche verso la madre terra. Don si sdraia sul divano ed è passato un quarto di film. Don riceve una lettera rosa, un inchiostro rosso e anonimo gli comunica la presunta partenità di un giovanotto di 19 anni, un vicino di casa solare e pluripadre lo convince a intraprendere un viaggio per gli USA alla ricerca della genitrice, evidentemente ex fiamma. Don non fa una piega e si mette in macchina per lunghissimi minuti. Incontra una Lolita nuda e soda figlia in competizione della madre Sharon Stone e lui non fa una piega, regala fiori rosa cena, consuma e se ne va. Incontra una borghesissima ex figlia dei fiori con marito dal sorriso da pubblicità, infelice e asciutta. Cenano, lui fa una piega (e in sala finalmente qualcuno si sveglia e ride) e se ne va. Incontra una comunicatrice di animali, il gatto le dice che lui ha un intento segreto allor a lui non fa una piega e se ne va. Sulla tomba di una ex pone i fiori, piange e resta li. Poi se ne va. Incontra una incazzosa e ex che lo fa pestare, non fa una piega e se ne va. Manca l'ultimo quarto di film. Incontra un ragazzo precedentemente visto all'aereoporto e brama finalmente la sua paternità offrendosi come agognato genitore, lui non ne vuol sapere e fugge. A casa i petali delle rose sono sparsi a terra. Broken Flowers, i fiori spezzati. Equivoco: E' un bel film, lento e dolente, malinconico e solo superficialmente semplice, che comincia a rodere dentro dopo che si è usciti dalla sala, è un seme figlio di quei fiori spezzati che tentano di rinascere a nuovo splendore. Il desiderio di paternità cresce nello stomaco di Don visita dopo visita ai suoi ex fiori spezzati, in modi diversi e crudeli a volte, la vita catatonica del play boy in disuso è la vita di chi vive in attesa di una morte fisica che concluda l'opera della morte sociale ed emotiva. Una di quelle donne ha ricevuto seme e ne ha piantato un'altro, invita l'uomo a prendere coscienza della proprio senso dell'esistenza e di affrontarlo. I viaggi sono silenziosi e tutti simili tra loro, sovente lo sguardo si posa sullo specchietto retrovisore in attesa di qualcosa dal passato che lo raggiunga, che lo fermi o che gli dia una soluzione facile come la vita fino a quel momento trascorsa. Non succederà. Una patina di solitudine ammanta tutti gli incontri del protagonista sempre più attonito di fronte a vite diverse, vissute o meno, le poche parole servono a riempire vuoti piuttosto che a comunicare qualcosa, il viso di Don è sempre più basito e disilluso, un evidente corpo estraneo ficcato nella carne morta di un passato che il presente non ha avuto pietà di risparmiare. Ed è proprio questo il senso del film, spiegato, se così si può dire, nell'asciutto e disperato finale. Il passato è passato, il futuro non esiste e ciò che conta è solo il presente. E il presente di Don è rimanere lì, fermo in mezzo ad un crocevia deserto, strade che non portano a nulla e da cui non viene nulla, nel vedere lo smaterializzarsi di quell'oggetto in grado di dare un senso alla propria vita, un figlio testimone di un passato e ambasciatore di un futuro, finalmente cercato e voluto, fuggire via nelle nebbie del dubbio. Equivoci: recitazione minimalistica o incapacità di comunicare? Bill Murray non-comunica, sul suo viso è chi guarda che proietta le proprie emozioni, come se fosse un passe partout, lo spettatore riflette sulla propria condizione, Bill Murray pretesto si presta alla vivisezione dei sentimenti, non suoi ma di chi guarda. L'attore è attonito quanto il personaggio che interpreta, immobile, come attende che gli eventi gli calzino simbioticamente addosso, si presta all'interpretazione delle emozioni che chi guarda vuole attribuirgli. Come è un corpo estraneo nella storia, lo è anche nell'accezione comune dell'attore che dovrebbe comunicare qualcosa. Murray è estraneo a sè stesso, siamo noi a prendere posto nel suo corpo e a viverne i momenti in base ad una individuale percezione del delle emozioni. Non a caso in sala le reazioni erano discordanti, tra il riso e lo sbadiglio, la noia e l'interesse, l'appassonarsi e lo sbuffo. NOn a caso il film esplode dopo, matura nello stomaco e se ne parla, sedimenta lento e rimane, rimane lo sguardo perso nel proprio presente di un Bill Murray più dolente che mai. Equivoci: lentezza o dilatazone dei tempi narrativi? Gli oggetti ingombrano la sgombra vita di Don/Bill, la prima parte del film la trascorre in mezzo a questi oggetti immobili, immobile lui stesso è un oggetto tra gli altri in attesa di un collocamento migliore. Un oggetto è capace di rimanere fermo nello stesso posto per l'eternità se non interviene un fattore esterno a modificarne la posizione, il fattore esterno è uno spiraglio in carta rosa, modifica la posizione dell'oggetto Bill spostandolo nello spazio. PUrtroppo però quando si è abituati alla condizione di "cosa" redimersi non è facile prima che sia troppo tardi, come una pedina viene spostato dalle mani del suo vicino di casa in giro per il paese, fino a collocarlo in mezzo ad una strada deserta, ma quando ormai è davvero troppo tardi per redimersi. Per filmare tutto questo ci vuole tempo, il tempo di donare un'anima ad un oggetto e il tempo di strappargliela. Equivoco ultimo: film sopravvalutato o sottovalutato capolavoro? La risposta è nella faccia di Bill Murray il cui processo di marmorizzazione procede senza soluzione di continuità, ognuno lo vesta del proprio giudizio.

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