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False verità

Regia di Atom Egoyan vedi scheda film

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La recensione su False verità

di spopola
6 stelle

Un film con moltissime ambizioni sull’ambiguità del reale (o sulle apparenze che ingannano) quest’ultima prova di Atom Egoyan, dove alla resa dei conti nessuno risulterà davvero “analogo” all’immagine costruita, né i fatti (e le loro dinamiche) saranno “conformi” alle verità ufficialmente accertate. Uno spietato ritratto che analizza il fenomeno di un “divismo lontano” (ma non superato, perché non si discosta di molto da certe anomalie contemporanee che semmai stanno amplificando in maniera esponenziale “svolgimenti comportamentali” che sono sotto gli occhi di tutti) e mette a nudo i meccanismi perversi che lo regola(va)no condizionando persino il “privato” vivere di ogni giorno di coloro che, accecati dalla fama e dalla volontà di rimanere al vertice, si lasciano “trascinare nell’ingranaggio” che tutto stritola, fino a diventarne schiavi e succubi. Qui ci sono solo castelli di bugie (quelle davvero realisticamente concrete) costruiti su un tessuto “scivoloso” capace di far esplodere incongruenze e drammi che cercheranno inutilmente di “esaurirsi” tentano di sfogare la loro evidente contraddittorietà all’interno di un “erotismo” esasperato e di maniera che ha nella dissolutezza e nell’eccesso l’unico elemento che in qualche modo riesce a confermare la “presunta normalità” di esistenze al limite. Il regista sa ben districarsi, narrativamente parlando (anche se con troppe voci fuori campo), all’interno di questo percorso a scatole cinesi che rimbalza costantemente, quasi senza soluzione di continuità, fra presente e passato, ma non riesce a dominare con la necessaria padronanza l’intera materia, né a “regalargli” uno stile uniforme e corrispondente alle intenzioni, in grado di far lievitare il tutto dalla fredda formalità dell’esecuzione “ricercatamente intelligente”, ma quasi da teorema costruito a tavolino, alla palpitazione delle emozioni, mai necessaria come in questa circostanza, nonostante il distacco emotivo della messa in scena, che è poi una caratteristica peculiare di tutto il percorso evolutivo di questo insolito “raccontatore”. Davvero, questa volta in più di un passaggio si stenta persino a riconoscere la consueta “mano glaciale” che posiziona il bisturi affilato per incidere in profondità, lasciando tagli netti e doloranti che non perdono troppo sangue ma che sono ugualmente terribili (a volte persino mortali), e il regista sembra quasi “sperduto” (o a corto di ispirazione creativa) in un universo che gli è alieno, alla constante ricerca di nuova linfa che tenta di attingere da suggestioni (e immaginari) diversi, ondivagamente pencolanti verso direzioni che sembrano orientare i propri “riferimenti impossibili” fra Lynch e Cronemberg (due numi tutelari per altro difficilmente imitabili e assolutamente non sdoganabili per interferenze così radicalmente differenziate, soprattutto in un contesto che contiene ben poco delle poetiche contrapposte che contraddistinguono le loro personalissime “ossessioni visionarie”). Eppure la storia che simula il giallo per parlare di altro e scavare nelle coscienze e nelle contraddizioni umane fra implosioni ed esplosioni improvvise di erotismi discordanti che determineranno come al solito la tragedia, sembrava dovesse calzargli come un guanto, così densa di atmosfere e di “dubbi” che si dissolveranno progressivamente via via che si ritroveranno i pezzi mancanti del puzzle e si percorreranno in parallelo i sentieri del disfacimento e/o della distruzione, fino alla scena conclusiva, quando davvero tutto sarà definitivamente chiaro ma non provato, uno dei rari momenti dove finalmente riusciamo di nuovo a intravedere il fascino ambiguo del miglior Egoyan. Ancora una volta dunque una indagine crudele che, nel mettere in evidenza le degenerazioni del successo, sottolinea la differenza che c’è - abissale e terribile - fra l’essere e l’apparire quando si diventa personaggi “pubblici” perchè il necessario mantenimento ad ogni costo della fittizia verità che rappresenta la facciata, “contraffatti” e corrotti come siamo dalla necessità di non intaccare una immagine che non è reale, ma che come tale viene percepita e “venerata”, inibisce inevitabilmente la possibilità di vivere davvero e fino in fondo le proprie pulsioni naturali. Il film è altrettanto implacabile nel denunciare anche gli ingranaggi che stanno dietro a certe maratone televisive “umanitarie” di successo (Telethon nel caso precipuo) non tanto in relazione alle finalità che possono essere persino “nobili” o “necessarie”, pur se puntano sempre a calcare troppo la mano sul dolore e sulle lacrime per ottenere il “massimo ritorno possibile”, quanto nell’evidenziare gli automatismi comportamentali che condizionano (e stravolgono) coloro che cavalcano l’evento per le proprie personali finalità di successo e carriera, ma non ci sono poi molti altri pregi da ascrivergli in attivo se non quello della consueta “classicità” priva di sbavature di una messa in scena esemplarmente controllata: una donna è stata trovata morta quindici anni fa nella suite di una celebre coppia di entertainer al termine di una fortunata trasmissione televisiva per la raccolta di fondi “umanitari” (questo è il pretesto e il contesto) e una bambina ora diventata adulta e giornalista (ma direttamente “invischiata” nei fatti) si trova adesso suo malgrado ad indagare su questo tragico fatto che ha coinvolto l’idolo della sua infanzia e determinato la rottura di un sodalizio di coppia che sembrava inossidabile e immarcescibile, e a scoprire alla resa dei conti finale, che anche lei ha la sua imperdonabile parte di responsabilità oggettiva. Certamente “qualcosa di diverso” si nascondeva davvero sotto la superficie increspata delle apparenze, ma non esistono mai veri colpevoli (semmai solo vittime) o forse ce ne sono persino troppi, perché tutti hanno per lo meno il peso e la corresponsabilità della “complicità indotta” (e nemmeno noi ne siamo esenti). Il tempo è passato lasciando inevitabili solchi che hanno modificato coscienze e sentimenti e adesso davvero i “veri responsabili degli atti” difficilmente potranno essere “inchiodati” alla loro imputabilità (e sarebbe comunque e in ogni caso ormai troppo tardi) anche perché “niente ha significato se non puoi documentarlo”… e i testimoni sono a volte irrecuperabili o mendaci... o non possono più “confermare” l’attendibilità di certe intuizioni. Più che sulla figura della giovane giornalista rampante alla ricerca della “verità assoluta” che vuole recuperare il suo passato (la Lohman riesce ad essere sufficientemente “sensuale” ma non è sorretta da una altrettanto adeguata tecnica di recitazione che le consenta di mettere in evidenza tutte le sfaccettature del suo sfuggente personaggio), il film si regge sull’ottima prova, coraggiosa e matura, di un intenso, istrionico e insolito Kevin Bacon e di un altrettanto attendibile Colin Firth per una volta alle prese con una caratterizzazione che riesce a restituirci in tutte le sue doloranti implicazioni, un formidabile duo in perfetta sintonia, che fa spesso “scintille”, capace di farci comprendere la vera portata del dramma e la particolare “natura” attrattiva del legame che li unisce, attraverso una studiata e variegata gamma di sguardi, atteggiamenti e “rimandi”, ben prima che il dipanarsi della storia arrivi a darci la inequivocabile certezza di come stavano effettivamente le cose. Analogamente ottime le ambientazioni, che ricostruiscono con meticolosa esattezza il clima (ed il fascino) di quegli anni lontani, nella sensualità raggelata di molte ardite sequenze formalmente ineccepibili. Insomma, senza le “contaminazioni” con altri mondi ed altri stili di differente cifra visionaria che finiscono per “danneggiare irrecuperabilmente” il risultato complessivo, questa volta illuminato solo a tratti dalla lucida coerenza che caratterizza in genere quasi tutta l’opera precedente del regista, si poteva arrivare a un prodotto di altissimo livello che invece è mancato, perché c’è davvero qualcosa di irrisolto che stona e disturba in questa operazione comunque ad "alto rischio". Un’ultima annotazione: i “puritani” che non hanno “gradito” Brokebake Mountain, si astengano dalla visione perché sicuramente troverebbero anche qui qualcosa di “pericolosamente analogo” che potrebbe farli uscire nuovamente di testa, ancora una volta “scandalizzati” e “incapaci” di comprendere.

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