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L'enfant. Una storia d'amore

Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'enfant. Una storia d'amore

di degoffro
8 stelle

Due giovani ventenni, Sonia e Bruno, si amano e si divertono insieme. Hanno un neonato di appena nove giorni, di nome Jimmy. Sonia è tutta presa da Jimmy e manifesta un profondo istinto materno, nonostante l'età. Bruno invece prova indifferenza, quasi fastidio, per quel bambino e continua a vivere di espedienti e furtarelli, perché " lavorare è roba da coglioni". Quando, per raccogliere un bel gruzzolo di soldi, decide, all'insaputa della madre, di vendere il piccolo al mercato delle adozioni clandestine, iniziano i suoi guai. "Bruno, dov'è Jimmy?" chiede Sonia nel vedere la carrozzina vuota. "Venduto!" è la secca risposta di Bruno. Sconvolta dalla notizia, Sonia viene ricoverata in ospedale e denuncia la scomparsa di Jimmy. Bruno riesce a recuperare il neonato ma ora deve un mucchio di soldi ai criminali a cui lo aveva venduto che reclamano il mancato affare. Dopo "Il figlio", film troppo rigoroso e di testa, quindi distante, quasi elitario, perfetto per mandare in sollucchero il consueto manipolo di critici intellettuali e un pò snob lasciando sfiancato e depresso lo spettatore comune, i fratelli Dardenne confezionano un'opera incisiva e preziosa. Senza perdere un grammo della loro lucidità etica e del loro sguardo antropologico, i due registi riescono finalmente anche ad emozionare e coinvolgere, come non accadeva dai tempi de "La promesse", con "L'enfant" senza dubbio il loro titolo migliore, accomunato peraltro dallo splendido protagonista, l'ottimo e sempre più maturo Jérémie Renier (mentre l'attore feticcio dei due fratelli, Olivier Gourmet, qui si concede solo un rapidissimo cameo nei panni di un ispettore di polizia). Oggi solo Gus Van Sant forse riesce a rappresentare gli adolescenti in crisi, fragili e smarriti, senza punti di riferimento, superficiali ed immaturi, con la medesima intelligenza e credibilità. Il personaggio di Bruno è destinato a restare impresso nella memoria. La folle incoscienza con cui vende il bambino, considerato come una delle tante merci di scambio dei suoi illeciti traffici, lascia di sasso. La silenziosa sequenza dello scambio bimbo/soldi nell'appartamento vuoto è splendida: i Dardenne mostrano come Bruno usi quasi un'amorevole delicatezza nel compiere un gesto di inaudita crudeltà. Di fronte ad una furibonda Sonia, il ragazzo però sa solo replicare, con un'ingenuità disarmante, irritante: "Ma che ti ho fatto? Ne facevamo un altro e via..." Come Igor ne "La promesse", anche Bruno deve dunque toccare il fondo per ritrovare se stesso e la propria umanità ed acquisire un senso di responsabilità perduto, o forse mai veramente avuto, che lo aiuti ad affrontare la vita con più consapevole maturità. Se Igor confessava all'immigrata di colore Assita che lui e il padre avevano lasciato colpevolmente morire il marito, caduto da un'impalcatura per fuggire al controllo degli ispettori dell'immigrazione, Bruno decide di costituirsi alla polizia, dopo l'ultimo colpo, probabilmente anche molto spaventato dal rischio di congelamento corso da Steve, il giovanissimo complice, dopo essersi nascosto nelle acque gelide del fiume per fuggire agli inseguitori (una sequenza quasi action, inedita nel cinema dei Dardenne e dalla tensione insostenibile per il crudo e palpabile realismo della messa in scena, altro che Hollywood!!!). Un lungo sfogo di pianto, nel parlatorio della prigione, tra le braccia di Sonia, è sì la richiesta di un perdono ma soprattutto è il suo ingresso in un nuovo mondo, a lui ancora sconosciuto. Non lacrime di coccodrillo le sue, ma la necessaria e doverosa presa di coscienza che è giunto il momento di cambiare radicalmente strada per dare un senso compiuto ad un'esistenza fino a quel momento sbandata, confusa, senza senso e soprattutto senza direzione: "le lacrime di Bruno sembrano mostrare un ragazzo pronto per affrontare il suo ruolo di padre" (Ludovico Bonora) I Dardenne non giudicano né si servono di inutili e spesso artificiose parole per esprimere le loro potenti idee e convinzioni. Con la forza e la determinazione di personaggi densi e sfaccettati e con uno stile più vero del vero che valorizza al meglio dettagli, particolari, sfumature di una vicenda esemplare, impongono sottovoce, senza sterili esibizionismi, il loro occhio appassionato e oggettivo su una società sempre più degradata, solitaria ed infima dove l'unico metro di giudizio pare essere il denaro che rende tutto commerciabile ma dove, per fortuna, c'è ancora spazio per la speranza, affidata alla redenzione di un ragazzo che sembrava perduto ma, dopo troppi sbagli, ora è finalmente intenzionato a risalire la china per almeno provare a diventare un uomo con una sua dignità. Peccato che il pubblico italiano lo abbia del tutto ignorato: nella sua semplicità ed asciuttezza, un film splendido e toccante, abile nel trasmettere profonda e commossa pietà verso i suoi emarginati protagonisti. Meritata Palma d'oro al Festival di Cannes, 4 nominations ai César, nomination ai David di Donatello quale miglior film dell'Unione Europea.
Voto: 8 e mezzo

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