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Non bussare alla mia porta

Regia di Wim Wenders vedi scheda film

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La recensione su Non bussare alla mia porta

di giorgiobarbarotta
6 stelle

Le lunghe desolate strade americane tracciano le distanze dai luoghi della vita e del tempo. Trenta sono gli anni che separano Howard dalla fugace storia d'amore con Dorine e dalla nascita di un figlio di cui viene informato solo al momento di un improvviso cortocircuito esistenziale con conseguente crisi-fuga. Il ritorno al nido materno, la ricerca di un'esistenza possibile, di una famiglia cui finalmente appartenere, il richiamo dei vincoli affettivi, la liberazione dal giogo lavorativo e dal successo (il cinema nel nostro caso, cioè la finzione, la fabbrica del sogno, la macchina illusoria), la rinuncia agli eccessi da star, l'età ormai avanzata, la paura della solitudine, i fantasmi di scelte sbagliate. L'incontro scontro con i trentenni che hanno vissuto l'assenza come tradimento, il vuoto, lo spaseamento, il rancore. Wenders e Shepard reggono a quattro mani le fila del discorso e l'opera risulta quasi una confessione-riflessione dimessa, una confidenziale e pacata chiacchierata malinconica seduti alla veranda di un bar a sorseggiare whiskey, gli occhi poggiati ad un soleggiato tramonto a stelle e strisce. La storia ha i suoi picchi negli accesi faccia a faccia attoriali, sostenuti da notevoli performance dei protagonisti e, come sempre nei film del regista tedesco, la parte tecnica del girato è di alto livello. Come sempre d'altronde si toccano momenti di retorica e la sensazione finale è che non ci sia un vero e proprio affondo. Non c'è chiusa e la pellicola scivola via senza risultare nè pienamente poetica, nè sostanzialmente psicologica, nè spiccatamente generazionale.

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