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Manderlay

Regia di Lars von Trier vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Manderlay

di DeathCross
9 stelle

Secondo capitolo del progetto trilogico 'USA – Land of Opportunities', iniziato con "Dogville" e mai completato, in "Manderlay" la Protagonista Grace, qui interpretata da Bryce Dallas Howard al posto di Kidman (così come Willem Dafoe sostituisce Caan nei panni del padre gangster), sposa il suo idealismo 'puro' alla causa di un'altra piccola comunità problematica (Manderlay appunto) dove, dopo 70 anni dalla sua abolizione, ancora persiste la schiavitù.
Se a Dogville la giovane fuggiva la propria eredità gangster, qui (come il figliol prodigo biblico) la pretende, sotto forma di vari sicari e un avvocato, per estirpare lo status quo schiavista ed imporre una democrazia gestita, nelle intenzioni, dalla comunità nera, ma le difficoltà saranno molto più ardue del previsto e verranno messe a durissima prova dall'esito finale.
Come spesso (anzi, sempre) nel Cinema vontrieriano, la Provocazione sociale e 'retorica' non può non mettere a disagio l'individuo spettatore, e si possono trovare facilissimi motivi d'accusa di 'reazionarismo intellettualoide' nei confronti dell'Autore, in particolare nell'apparente istigazione al fregarsene delle ingiustizie e nell'insinuazione di una possibile felicità degli schiavi. La spiacevolezza di questa ambiguità, però, aiuta a rendere estremamente stimolante la visione sul piano riflessivo e, seppure sia evidente una critica (anche cinica) contro la bontà moralisticamente esibita (a partire da sé stessi) delle persone fautrici del liberalismo sociale, questa critica è, a parer mio, molto più affine ad una contestazione anarchica e/o nichilistica che non al trollaggio dell'alt-right. Infatti quel che emerge da "Manderlay" è una dura presa di posizione contro l'idea d'imposizione della democrazia liberale in una comunità dimostrando come l'intervento armato calato dall'alto sia un atto imperialista che impedisce un'autentica liberazione da parte delle individualità oppresse, mentre un'opzione (a parer mio) realmente 'liberazionista' si sarebbe dovuta limitare a fornire alla popolazione schiava i mezzi di liberazione (le armi), offrire una via di fuga a chiunque lo richiedesse e/o dare una mano a costruire una nuova comunità con atteggiamento genuinamente paritario. Invece Grace, se da un lato evita sia di mantenere passivamente uno status quo orribile sia di gettare gli individui liberati in balia degli eventi, dall'altro nel modo benevolmente paternalistico con cui 'guida' la gente ex-schiava nel 'mondo libero' (imposto, come il sogno americano) tradisce un atteggiamento suprematista non meno razzista e autoritario (ma più ipocrita) del vecchio sistema. Comunque, come in "Dogville" anche a Manderlay l'idealismo di Grace sembra rispondere più ad una volontà egoistica di soddisfare il desiderio di costruire una propria comunità ideale, e questo non sarebbe un problema per me, da anarchista che ritiene più che compatibili l'Individualismo stirneriano con il Collettivismo bakuniniano (per dividere rozzamente l'Anarchismo, soprattutto originario, in due 'correnti', senza dimenticare che Bakunin fu influenzato comunque da Stirner). Il problema consiste nella pretesa di rispondere ad un Assoluto astratto e nella declinazione verticistica del proprio idealismo, che tra l'altro, analogamente a "Dogville", viene alla fine ritorto dalla popolazione 'aiutata' contro la sua propugnatrice, che fugge dal ruolo di padrona per cui viene democraticamente eletta (concetto questo quasi paradossale, esattamente come lo è imporre autoritariamente la libertà), non prima di averne assaporato il piacere (frustando Timothy, il 'massimo traditore' della sua visione del mondo) completando così la propria disfatta morale.
Per chiudere (intanto) qui queste prime riflessioni, "Manderlay" è un altro Gioiellino provocatorio dello stronzissimo Lars von Trier, che realizza forse il più spietato atto d'accusa contro il complesso del 'salvatore bianco' (topos sempre più spesso, per me giustamente, contestato dalla sinistra radicale, e forse anche da quella 'riformista'), sostenuto da un'estetica al contempo teatralmente anti-cinematografica e cinematograficamente anti-teatrale, da un Cast tutto straordinariamente intenso e da una suggestiva Colonna sonora, arrangiata da Joachim Holbek, per lo più classica (con Vivaldi in 'maggioranza assoluta'), con eccezione per "Young Americans" di David Bowie che, come in "Dogville", accompagna la cattivissima carrellata di foto che testimoniano il proseguimento del razzismo statunitense. Anche qui sono già impaziente di rivederlo nell'imminente Maratona vontrieriana che ho 'programmato' per aprile.

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