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Frankenstein

Regia di James Whale vedi scheda film

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La recensione su Frankenstein

di YellowBastard
7 stelle

Le prime trasposizioni su grande schermo del romanzo Frankenstein della giovane Mary Wollstonecraft Shelley, nato durante un piovoso soggiorno estivo in Svizzera come un gioco tra amici raccontandosi storie orrorifiche inventate da loro come passatempo, vi erano già state a partire del 1910, con la versione diretta da J. Dawley, ma è sicuramente quella della Universal del 1931 ed essere diventata la più celebre (anche perché la prima a sfruttare il sonoro) e ad aver influenzato l’immaginario collettivo nei decenni successivi, soprattutto grazie all’incredibile maschera creata dal truccatore Jack Pierce in collaborazione con la splendida interpretazione del grande (non solo come dimensioni) Boris Karloff.

 

Frankenstein' at 200: Scholars to explore why 19th-century novel still  resonates | Nebraska Today | University of Nebraska–Lincoln

 

Già a partire dal 1823 sono molte le trasposizioni teatrali ispirate al romanzo della Shelley, come quella della di Richard Peake Presumption o, successivamente, quella di Peggy Webling il cui successo nei palcoscenici americani convinse la Universal a realizzare una sua versione cinematografica.

Anche in questo caso l’intuizione di portare sullo schermo la storia del Dottor Frankenstein si deve al produttore Carl Laemle Jr., figlio del proprietario della Universal Pictures, reduce dal successo di pubblico del Dracula con Bela Lugosi e che aveva fiutato da tempo le enormi potenzialità commerciali del genere horror.

 

Come nel caso di Dracula la Universal prese la decisione di puntare non sul romanzo originale ma su una sua versione riadattata per il palcoscenico (nel caso la versione del’27 di Webling, dove il protagonista Victor Frankenstein viene “americanizzato” in Henry Franlkestein) e originariamente si pensò di ingaggiare il regista francese Robert Flowrey, autore di The Cocunuts e esperto del cinema espressionista tedesco.

Fu lui ha iniziare le bobine di prova del film (andate poi successivamente perdute) tanto che una volta sostituito da James Whale aprì una vertenza sindacale con la Universal obbligando Carl Leammle ad inserire comunque il suo nome nei credits originali delle copie distribuite negli Stati Uniti.

Le reminiscenze dell’operato di Flowrey, influenzate dell’estetiche dell’espressionismo tedesco, rimangono intatte anche nell’operato del suo successore Whale, ulteriormente sottolineate dalla cupa fotografia dell’esperto Direttore di macchina Arthur Edeson, e ottenute anche grazie alle scelte scenografiche e alla ricercatezza delle inquadrature del nuovo regista.

 

In questi provini il Mostro di Frankenstein era interpretato da Bela Lugosi, reduce dall’enorme successo di Dracula, ma rinunciò al ruolo contrariato dalla mancanza di dialoghi e temendo di risultare irriconoscibile sotto il pesante trucco di scena (tornò poi a interpretarlo solo nel‘43 in Frankenstein contro L’uomo Lupo).

Fu sostituito da Boris Karloff che accettò tranquillamente di sottoporsi a tre ore di estenuante trucco al giorno sotto la guida esperta di Jack Pierce.

Anzi collaborò direttamente con Pierce alla creazione della maschera della Creatura (suggerendo, tra le altre cose, l’idea delle pesanti palpebre cadaveriche) e seppe caratterizzare il suo iconico personaggio non come un mostro ma come una vittima dell’incomprensione umana e dell’odio.

 

Frankenstein (1931) - Fantascienza Italia

 

Il successo di Frankenstein fu anche la vittoria della capacità tecnica e dell’originalità espressiva del regista inglese James Whale.

Precedentemente distintosi per la sua attività teatrale di successo, fu chiamato a Hollywood nel momento del definitivo passaggio dal muto al sonoro, seguendo una prassi ormai consolidata che gli vedeva preferire registi che provenivano dal teatro rispetto ai vecchi maestri del muto in quanto riuscivano ad esaltare maggiormente le capacità vocali e dialettiche degli attori proprio grazie all’esperienza nella direzione degli attori sul palcoscenico.

Whale era infatti noto come responsabile dei dialoghi e firmò le sue prime regie cinematografiche in quanto rappresentazioni di precedenti pièce teatrali, come Journey’s End e La donna che non si deve amare (Waterloo Bridge), entrambi grossi successi sia di critica che di pubblico.

Entrambi i protagonisti di queste pellicole, Colin Clive, inglese come Whale e anche lui di provenienza teatrale, e Mae Clark, talentuosa attrice americana, saranno scelti da Whale per tornare a lavorare con lui proprio in Frankenstein.

E’ doveroso ricordare poi anche la presenza, direttamente dal precedente Dracula, sia di Dwight Frye, il folle mangiatore di mosche e insetti che qui diventa il deforme Fritz, cinico servitore di Frankenstein, che di Edward Van Sloan che da interprete di Van Helsing diventa il Dott. Waldman, mentore di Henry.

 

Va anche dato merito all’Universal di aver azzeccato con le sue scelte praticamente tutto: dal soggetto al regista, dagli attori al trucco del Mostro per finire alla fotografia ma soprattutto Carl Leammle Jr. riuscì a cogliere il momento più favorevole per le inquietudini del genere horror (come dimostrato anche in Dracula) in un contesto storico nel quale paure e ansie imperversavano tra la gente generate sia dalla grave crisi economica del‘29 sia dalla nascita di fantasmi dittatoriali che animano non solo in Europa ma in tutto il mondo.

 

Il film segna l’inizio di una nuova era dopo quella dei capolavori tedeschi dell’epoca del muto, ancora dominata dalla tradizione e dal folklore del gotico europeo, che nelle nuove pellicole americane vengono filtrate attraverso le suggestioni della scienza moderna, inaugurando con il film di Whale la nascita della fantascienza cinematografica e quindi l’asservimento della natura (e del mistero soprannaturale) alla forza della logica e del pensiero umano.

Il senso del meraviglioso nella letteratura fantastica diventa quindi di natura (fanta)scientifica, frutto della ricerca e della sperimentazione umana che trascende il mistero stesso della natura, e lo stesso Mostro di Karloff & Pierce viene assemblato come una macchina (prendendo parti di membra di cadaveri come fossero pezzi di ricambio), con bulloni d’acciaio nel collo e la corrente elettrica a permettergli di vivere, e rigido nei movimenti più come un automa che non come un uomo.

 

A.I. Inspires Hollywood and Shapes Our Vision of the Future | Time

 

Apologia sulla scienza e sull’autodistruttiva ossessione umana dell’ignoto, sulla sua compulsiva ricerca dell’immortalità ma anche sulla rivolta del “creato” verso il suo “creatore” (o del figlio verso il padre, il nuovo verso il vecchio) inteso anche come abbandono nell’uomo del divino e della legge del Signore, ormai novello Dio (“ora so come ci si sente a essere Dio!” dice Henry subito dopo aver “partorito” la sua creatura, in un concezione anche piuttosto femminista) che viene però rifiutato (così come l’uomo rifiuta Dio in favore della scienza e del pensiero positivista) dalla sua stessa opera, viva (la celebre battuta “it’s alive! It’s alive! It’s alive”) ma a cui, fin da subito, viene negato l’affetto e l’amore perché è impossibile per un semplice essere umano (che gioca a essere Dio senza però esserlo) sostenere moralmente una simile responsabilità.

Una questione di bioetica di fondamentale importanza per la scienza moderna e che qui viene sorprendentemente evocata, seppur in maniera semplicistica e intuitiva.

Con il timore che la creatura sfugga al controllo del suo creatore e che sono gli stessi che si riaffacciano nella clonazione umana o nelle ricerche della robotica legata alla creazione di un’intelligenza artificiale.

 

Nel film il risultato è devastante, con conseguenze nefaste per chiunque, e nel quale la brutalità del mostro è figlia soprattttto della paura e conseguenza di un istinto animale, di stampo naturalistico (un agire incurante delle conseguenze perché, in quanto totalmente puro e innocente, incapace di comprenderle), generata anche dalle ambiguità e dalle perversioni presenti sia nell’uomo che nelle sue stesse istituzioni.

 

Un altro classico tema riadattato dal gotico europeo (oltre a quello del Golem di tradizione ebraica di cui la Creatura è una sua moderna incarnazione) è anche quello del Doppelgànger in quanto il mostro non è altro che un simulacro di Henry, uno specchio delle sue ossessioni che a sua volta ne riflettono il lato oscuro della scienza.

Una suggestione talmente presente che già nell’adattamento a teatro lo scienziato perdeva il suo nome in favore della creatura, in un immediato meccanismo di sostituzione che identificherà l’opera e il suo protagonista non con il Barone ma con il Mostro.

 

It's Alive! Frankenstein At The Movies - One Room With A View

 

In un altro senso, invece, il dottore assume anche la caratteristica dell’artista e il mostro della sua opera d’arte e la rappresentazione dell’esperimento finale diventa nelle mani di Whale una messinscena teatrale tra il sacro (l’assunzione in cielo del corpo inerte con il fulmine divino a concedergli la vita) e il profano (l’elettricità come l’estrema frontiera del galvanismo) con un palcoscenico (il laboratorio) e anche diversi spettatori ad assistere allo spettacolo (Elisabeth e Victor, il prof. Waldman e l’assistente di “scena” Fritz, assenti nel romanzo di Shelley e inventati, forse non a caso, proprio per lo spettacolo teatrale) ma anche i successivi dubbi e le paure dell’autore nei confronti del suo lavoro, come il “rigetto” per la sua stessa opera o il timore che possa non venire ben accettato dal pubblico, con conseguente insuccesso del suo lavoro o, ancora peggio, il disconoscimento pubblico del suo “talento”.

Frankenstein (forse) è anche questo.

 

VOTO: 7,5

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