Regia di Kiyoshi Kurosawa vedi scheda film
L'aldilà si manifesta con il suono metallico di un (vecchio) modem e con immagini che appaiono improvvisamente sui monitor dei computer. La "porta proibita" che mette in contatto i due mondi è rappresentata da internet.
Kiyoshi Kurosawa (uno degli autori giapponesi più misconosciuti in Italia!) dà vita ad un horror dall'incedere lento e riflessivo; privo di spargimenti di sangue e dove la catastrofe avanza silenziosa rivelandosi poco alla volta.
Il regista giapponese opta per una messa in scena antispettacolare tutta giocata su tinte grigie e giallo-verdastre. La luce del sole è quasi del tutto assente; la pioggia, il buio e un persistente senso di umido amplificano il pathos. La mdp si mantiene quasi sempre furtiva e distante dai personaggi. Le inquadrature si fanno lunghe e la profondità di campo sembra scavare verso altre dimensioni, verso altri luoghi possibili. Ma quali? Cosa c'è dopo la morte? Solitudine? Vuoto?
In "Kairo" Kurosawa ("The Cure", "Tokyo Sonata") attinge dalla tradizione del japan horror (gli spettri), ma sembra anche guardare alla (tecnologica) pandemia di matrice cronenberghiana.
L'uomo del XXI secolo ormai possiede ogni mezzo per comunicare; in definitiva rimane, però, sempre solo con se stesso. Poco a poco anche la frenesia quotidiana delle metropoli lascia spazio alla desolazione; le città si fanno deserte; corpi vuoti di cemento alla pari delle (metalliche) fabbriche abbandonate di periferia.
Sotto le vesti di un horror, Kiyoshi Kurosawa riflette (e fa riflettere) sulla deriva socio-tecnologica di una società al collasso. Uomini che diventano quasi degli "zombi" nella vita reale e che si tramutano in vere e proprie ombre virtuali nella Grande Rete.
Forse, la morte è l'unica via di scampo; e forse gli spettri sono più reali.
La fuga è solo un miraggio. Un'illusione momentanea....
7,5
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