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Suspect Zero

Regia di E. Elias Merhige vedi scheda film

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La recensione su Suspect Zero

di scapigliato
6 stelle

Con un'inizio secco, spurgato di tutto quello che era di troppo, e lasciato con l'essenziale, dove un'allucinato e bravissimo Ben Kingsley si presenta come probabile e ultima frontiera del serial killer, potevamo aspettarci legittimamente molto di più. Comunque, ancora zone d'ombra per il regista de "L'Ombra del Vampiro", ma qui non si tratta di un gioco metacinematografico, ma bensì di entrare in quella realtà nera tutta americana (e non...) dei serial-killer.
Dopo le icone horror classiche, i famosi 4 mostri del bianco e nero Universal, e le 4 post-moderne dell'horror anni '70-'80 (Leatherface, Michael, Jason e Freddy), arriva il male domestico, quello del vicino sottocasa, del bravo padre di famiglia, del rispettabile benpensante ordinario e ordinato: il serial-killer. A parte qualche caso poco codificato targato '60-'70, ecco che con l'"Henry Pioggia di Sangue" di Michael Rooker attore, e soprattutto con il John Ryder di Rutger Hauer in quel capolavoro di Robert Harmon che è "The Hitcher", prende piede l'avvento prepotente e a tappeto dei serial-killer che culminerà con il leggendario e insuperato Hannibal "the Canniball" Lecter di Anthony Hopkins, premiato pure con l'Oscar. Fino ad oggi la storia cinematografica è piena zeppa di serial-killer, ma non ugualmente è piena zeppa di "grandi" serial-killer o di "grandi" film. "Suspect Zero", nella sua corsa all'identificazione col male, prerogativa di base dello psycho-movie poliziesco (cioè con un'agente che indaga, perchè lo psycho-movie può prevedere anche solo un pazzo che minaccia degli innocenti), nella sua corsa all'identificazione col Male, dicevo, "Suspect Zero" riesce in parte a toccare le corde nevrotiche che tanti altri film del genere sfiorano soltanto. Il film varrebbe solo per l'incredibile lavoro sul personaggio di Kingsley, di vecchia scuola, sobrio, ma intimamente sulle righe, visibile attraverso gli occhi e pochi gesti inconsulti. Anche se il film poi svela la vera posizione del suo personaggio, Kingsley rimane tanto borderline da rimanere nell'immaginario come un vero psycho-killer, e dopotutto lo è. Il finale allargato, che vede l'agente interpretato da Aaron Eckhart ricalcare le orme di Kingsley, è troppo banale, e fortunatamente il regista ha optato per terminare la pelicola in quel non-luogo desertico che fa molto "Se7en", ma che riporta la tragedia umana sul un palco pseudo-teatrale. Il montaggio frenetico e alternato con immagini che non sono in relazione diretta con quelle immediatamente precedenti o seguenti, come da "The Ring" in avanti ormai si usa esageratamente, è un montaggio banale, di moda. Una tendenza di oggi che, dopo appunto il film di Verbinski, sembra un passaggio obbligatorio per questo genere di film, dove la devianza, l'allucinazione e la nevrosi sembrano rappresentabili grammaticamente solo con questo espediente. Un film bello da vedere, ma non tanto da conservare come punta di diamante del genere.

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