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Green Fish

Regia di Chang-dong Lee vedi scheda film

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La recensione su Green Fish

di joseba
10 stelle

Congedato dall'esercito dopo i due anni di leva obbligatoria, Makdong (il cui nome significa "fratello più piccolo") torna a casa in treno. Qui, per difendere una ragazza molestata da tre bulli, rimedia un pestaggio e la perdita del suo sacco che rimane sul treno insieme alla donna, mentre lui è sceso per cercare vendetta. La ragazza lo contatta per restituirgli la borsa e lui la raggiunge nel locale notturno in cui si esibisce come cantante. All'uscita i due si accordano per la restituzione del bagaglio, ma nel frattempo gli sgherri del proprietario del locale, un boss in ascesa a cui la donna è legata sentimentalmente, la obbligano a tornare dal capo malmenando l'incolpevole Makdong. Mesto e malconcio, il giovane si aggira nei sobborghi di Seoul finché si accosta una macchina: è quella del boss che, informato dalla ragazza circa l'accaduto, gli fa avere un lavoro da garagista. Da questo momento per il ventiseienne Makdong inizia la carriera criminale... Comunemente considerato ancora un po' acerbo e non del tutto all'altezza delle opere successive ("Peppermint Candy", "Oasis" e "Secret Sunshine"), "Green Fish" è il lungometraggio d'esordio di Lee Chang-dong, romanziere, sceneggiatore di Park Kwang-su e futuro Ministro della Cultura e del Turismo dal 2003 al 2004. In realtà, contrariamente all'opinione diffusa tra critici e cinefili, "Chorok mulkogi" è un film bellissimo e di straordinaria importanza. In primo luogo perché interpreta con inaudita efficacia il tracciato del gangster movie (reclutamento, affiliazione, affermazione e punizione) in chiave sociale (il protagonista è di estrazione proletaria e la carriera criminale è raffigurata a tutti gli effetti come una professione in grado di riscattarlo); in secondo luogo, soprattutto, poiché lo fa attraverso un cinema così esatto e tagliente da far venire la pelle d'oca. Lo stile ruvidamente disadorno di Lee Chang-dong è già perfettamente maturo e il suo modo di stare contemporaneamente dentro e fuori dalla scena già pienamente sviluppato: lo sguardo della sua cinepresa (molta macchina a mano, frequenti inquadrature fisse, dolly di malinconica sontuosità) è al tempo stesso coinvolto negli eventi rappresentati e leggermente dislocato rispetto ad essi. Come un osservatore che si prende lo spazio e il tempo di riflettere, i punti macchina scelti da Lee rivelano sottili incongruenze ottiche che "delocalizzano" la visione, trasformandola in principio di intelligibilità: raccordi puntualmente incoerenti, movimenti obliquamente sorprendenti e una cascata di false soggettive fanno del tessuto visivo di "Green Fish" un palinsesto su cui Lee Chang-dong scrive la storia riscrivendoci sopra, simultaneamente, le sue personali impressioni. Ne scaturisce un film in cui la drammaticità della parabola umana di Mangdok (un Han Suk-kyu esemplare) si fa paradigma di una società che ha eretto la violenza e la sopraffazione a regola di vita. Un codice di comportamento rispettato indistintamente da gangster e poliziotti (che non si fanno scrupoli a intascare multe sottobanco o a commissionare regolamenti di conti domestici) e che nella sua assoluta inflessibilità prevede la soppressione del più debole, anche se questi si è mostrato fedele a tal punto da sacrificare dolorosamente la propria moralità. Per questi motivi "Green Fish" è un film poderosamente emozionante, pensante e militante che nello stile esprime l'irriconciliata emergenza di una visione del mondo pessimisticamente ma non rassegnatamente marginale. Finale da commozione cerebrale.

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