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La rivolta delle gladiatrici

Regia di Steve Carver, Joe D'Amato vedi scheda film

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La recensione su La rivolta delle gladiatrici

di giurista81
5 stelle

 

Pellicola culto per la presenza di svariati soggetti che hanno fatto la storia del cinema di genere italiano e americano. Il progetto, distribuito in America col titolo The Arena, nasce per volontà del grande Roger Corman, intenzionato a fare un film di ambientazione romanica con le gladiatrici protagoniste. Informato sui propositi del gran maestro dei B-Movie hollywoodiani, l'attore americano Mark Damon, da poco passato a fare da produttore, ne parla con l'amico Franco Gaudenzi, reduce dall'erotico Sollazzevoli Storie di Mogli Gaudenti e Mariti Penitenti e in seguito produttore di molti trash movie di Bruno Mattei, anch'esso interessato a fare un film d'ambientazione romanica (un erotico) ma sprovvisto dei fondi necessari. Corman e Gaudenzi iniziano così a trattare e decidono di unire le forze. Corman propone il soggetto, il regista (il semisconosciuto Steve Carver) e la coppia delle protagoniste: Pam Grier e Margaret Markov. Già qua si respirerebbe aria di cult, essendo la Grier la futura protagonista di Jackie Brown di Quentin Tarantino e l'altra la futura moglie di Mark Damon (e purtroppo per questo a fine carriera). Gaudenzi acconsente alla proposta a condizione che Corman accetti Aristide Massaccesi, in arte Joe D'Amato, quale direttore della fotografia e regista delle seconda unità. L'affare va così in porto e ne viene fuori un prodotto squisitamente di genere, che coinvolge anche Joe Dante, futuro regista de Piranha, Gremlins e L'Ululato, qua chiamato a curare il montaggio.

La sceneggiatura guarda molto da vicino alla prima parte di Spartacus di Stanley Kubrick. Così vediamo la cattura, da parte di legioni romane, di quattro giovani donne (Grier, Markov, Lucretia Love e Maria Pia Conte) poi vendute in piazza e acquistate da un senatore inizialmente per intrattenere i suoi ospiti presso l'arena dove vanno in scena i combattimenti tra i suoi gladiatori. Un burocrate, interpretato da Franco Garofalo (indimenticabile protagonista dei film di Bruno Mattei, tra i quali Virus), propone - per ravvivare lo spettacolo e tornare a far rimpire le tribune - di far combattere le donne in arena quali gladiatrici. Gli sceneggiatori non si sforzano troppo nel caratterizzare i personaggi, né di proporre sviluppi che rendano brioso lo spettacolo. Così assistiamo alle liti tra le donne, ai tentativi di stupro operati dai gladiatori e, in modo più curato, agli allenamenti e alle trame dei nobili che si divertono e fanno soldi sulla pelle degli schiavi.

Joe D'Amato interviene in prima persona a girare le scene d'azione, assai copiose e piuttosto ben riuscite grazie alla presenza di stuntmen quali Pietro Torrisi, Roberto Messina e Claudio Ruffini, oltre che i muscolari Vassili Karis, Mimmo Palmara e Pietro Ceccarelli (nei panni dell'imbattuto gladiatore Septimus). Il taglio registico offre inquadrature strette, con regia piuttosto nervosa e combattimenti per tale via semplificati e resi verosimili.

Le interpretazioni sono più che sufficienti. La grintosa colored Pam Grier, star queen del c.d. blaxploitation, è un gran bel vedere, appare persino in uno statuario topless, e contrasta assai bene con la bionda e meno giunonica Markov. Le due attrici, che si sfidano in arena nel combattimento che funge da preludio alla rivolta (evidenti i rimandi al combattimento tra Kirk Douglas e Woody Strode nella sopracitata pellicola di Kubrick, con la Grier che sfoggia persino le medesime armi che aveva Stroode), si rivelano molto più in palla di Lucretia Love (qua non al massimo del rendimento) e di Maria Pia Conte che evita sempre di combattere perché primogenita dell'ex senatore Scipio e dunque non barbara (come le sue compagne) e per questo dispensata (alla fine sarà stuprata dai tifosi). Le quattro sono tenute sotto controllo dalla matrona Rosalba Neri (altra attrice di gran culto), schiava fedelissima del suo padrone e più castigata del solito.

A corredo del parco attori figurano altri volti leggendari per i fan del cinema di genere, quali quelli di Paul Muller (il mega direttore della saga Fantozzi, presente altresì in diverse pellicole di Jess Franco), Antonio Casale (il Bill Carson de Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo) e, nei panni del senatore proprietario dei gladiatori, Daniele Vargas. Dunque un cast artistico molto ricco per un prodotto che ha in Massaccesi il co-regista e in Gaudenzi il co-produttore. Possiamo tranquillamente definirlo la migliore produzione di Gaudenzi che poi produrrà film quali Le Notti Porno di D'Amato, Zombie 3 di Fulci, Alien degli Abissi di Margheriti e una lunga serie di film di Bruno Mattei e Claudio Fragasso.

Francesco De Masi cura la colonna sonora (non trascendentale), Massaccesi la fotografia (buona). Curiosamente la pellicola non affonda nel gore e neppure nel genere erotico, preferendo rimanenere su un piano più accessibile al pubblico. 

Terminato il film, sfruttando le scenografie (e scene di riciclo da altri film, tra i quali la distruzione di una città per via dell'espolosione del Vesuvio) e i costumi di questo film, il duo Gaudenzi-Massaccesi gira il meno riuscito Livia, Una Vergine per L'Impero Romano; una pellicola di recupero, conosciuta anche quale Diario di una Vergine Romana, diretta e scritta da Aristide Massaccesi, in cui viene messa in scena la scalata al potere, attraverso congiure e rivelazione di segreti appresi sotto le coperte, di una giovane prostituta (interpretata da una Lucretia Love assai più bella e nel ruolo rispetto a La Rivolta delle Gladiatrici). Un film dall'impronta erotica (assente ne La Rivolta delle Gladiatrici) più congeniale a Massaccesi, in cui tutto si regge sulla sensualità e la carica erotica della Love, spesso svestita, persino in nudo integrale (Massaccessi è abile nel fotografarla e nell'esaltarle le grazie, specie quando la mostra sdraiata su un fianco tutta scosciata), e corruttrice di uomini.

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