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L'indiscreto fascino del peccato

Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film

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FABIO1971

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'indiscreto fascino del peccato

di FABIO1971
8 stelle

"Madre, è qui da giorni e giorni... Le ho portato qualcosa da mangiare".
"Grazie, sorella, ma non ho appetito".
"Madre, non può continuare così, sta male!".
"Le sole gioie che si può concedere una sposa di Gesù sono le spine e la croce. Ho peccato tanto e devo espiare".
"Madre! Dio è misericordioso...".
"Però dov'è Dio adesso? Dio mi ha abbandonato. Gli chiedo perdono e protezione, ma lui si nasconde".
"Se la vedessero le redente... Lei è una donna forte".
"Io sono come loro: osservandole per tanto tempo sono diventata una di loro!"
.
[Marisa Paredes e Julieta Serrano]

Madrid: Yolanda Bel (Cristina Sànchez Pasqual), cantante e tossicodipendente, ricercata dalla polizia dopo la morte per overdose (eroina tagliata con stricnina) del fidanzato Jorge (Will More), abbandona casa e lavoro e si rifugia, in attesa che si calmino le acque, in un convento di suore, le "Redentrici Umiliate", religiose dedite al recupero di assassine, tossiche e prostitute e distaccate a Madrid dalla sede generale di Albacete. Ultimamente, però, le pecorelle smarrite da redimere latitano spaventosamente, senza contare che la Marchesa (Mary Carrillo), la moglie del defunto aristocratico che le finanziava, non ha alcuna intenzione di continuare con le donazioni: l'arrivo di Yolanda, perciò, appare ai loro occhi quasi come un segno della benevolenza divina. Viene ospitata in una camera per gli ospiti ("Se la Madonna non ti piace ci metteremo un poster di Mick Jagger"...), in passato abitata proprio dalla figlia della Marchesa, e ben presto si accorge, incredula, di dove sia capitata. Le suore del convento, infatti, sono dedite ai vizi e alle depravazioni più disparate: dalla Madre Superiora (Julieta Serrano), eroinomane e lesbica, che puntualmente si innamora di ognuna delle ragazze accolte di volta in volta nel convento, a Suor Maltrattata da Tutti (Chus Lampreave), che scrive di nascosto, con lo pseudonimo di Concha Torres, romanzi pornografici (come Lontano da me, canaglia!, che regala a Yolanda: "È la storia di un travestito che si innamora della sorella e, quando scopre che la sorella è lesbica, si ammazza"), da Suor Perduta (Carmen Maura), che accudisce nel giardino del convento una tigre rubata da un circo, a Suor Vipera (Lina Canalejas), che prepara vestiti da far indossare alla Madonna ("Ha disegnato modelli per ogni stagione: questi sono i modelli autunno-inverno"...) con l'aiuto del cappellano (Manuel Zarzo), che fuma anche sull'altare durante le funzioni, e a Suor Squallida (Marisa Paredes), masochista e cuoca sui generis, che arricchisce le pietanze con cocaina o sostanze allucinogene. La nuova Madre Badessa (Berta Riaza), però, piombata improvvisamente dalla casa generale di Albacete e indignata dalla stravaganza delle suore (ma completamente ignara dei loro torbidi segreti), ha intenzione di chiudere il convento, ma non ha fatto i conti con i progetti della Madre Superiora, che ha scritto al Papa per fondare il suo ordine religioso, finanziato grazie ai traffici di droga organizzati dalla sua pusher Lola (Marisa Tejada). Non immagina, però, che, come in passato le precedenti peccatrici ospitate nel convento, anche Yolanda, pronta per iniziare una nuova vita, le spezzerà il cuore.
Quarto lungometraggio scritto e diretto da Pedro Almodòvar e opera indiscutibilmente spartiacque all'interno della sua produzione cinematografica degli esordi: sorretto dall'interpretazione travolgente delle sue amate attrici (qui la palma spetta di diritto a un'efficace e dolente Julieta Serrano e all'esilarante Chus Lampreave), L'indiscreto fascino del peccato si rivela, infatti, più che del precedente (e meno riuscito) Labirinto di passioni, titolo imprescindibile nella filmografia del regista spagnolo per comprenderne le future evoluzioni tematiche e stilistiche: il coraggio della provocazione irriguardosa, il gusto per l'eccesso e la dissacrazione, l'esplorazione dell'ambiguità (sessuale, istituzionale, sociale), l'assenza di compiacimenti manieristici, il folle amore per il melò, che esplode e fiammeggia nelle realtà più degradate o tra le esistenze ai margini della società, lo sguardo sempre caustico con cui osserva l'amore e le passioni umane, qui trasfigurati in un'irriverente e irresistibile commistione di kitsch e ferocia, dove la disperazione del melodramma (evocata, tra l'altro, sin dall'omaggio a Luchino Visconti e a Rocco e i suoi fratelli, di cui in colonna sonora viene riproposto lo struggente e indimenticabile tema musicale composto da Nino Rota) è stemperata dalla vena grottesca dell'approccio e da qualche gag sgangherata (la tigre che mangia soltanto se sente suonare i bonghi, i dolci allucinogeni di Suor Squallida, la figlia della Marchesa, sbranata dai cannibali in Africa, e il suo figlioletto, novello Tarzan, allevato dalle scimmie) che ne ammorbidisce le asperità più urticanti, evitando con eleganza sia le cadute nella volgarità, sia le ipocrite banalità che l'argomento tabù avrebbe potuto facilmente scatenare, per poi esaltarsi nuovamente nel magnifico finale che chiude dolorosamente il film.
Pessima, a partire sin dal titolo (che banalizza in maniera balorda l'originale Entre tinieblas, ovvero "nel buio"), la versione italiana: oltre ai numerosi tagli, infatti, va registrato anche l'assurdo scempio dei dialoghi, completamente stravolti o, addirittura, aggiunti arbitrariamente in molte sequenze.
"La grandezza di Dio è proprio nelle creature imperfette: Gesù non è morto sulla croce per salvare i santi, ma per redimere i peccatori".

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