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La morte di Mario Ricci

Regia di Claude Goretta vedi scheda film

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La recensione su La morte di Mario Ricci

di millertropico
8 stelle

Il giornalista cinquantenne Fontana, rimasto claudicante a seguito di un incidente automobilistico, si reca in un piccolo villaggio della Svizzera francese accompagnato dal suo operatore, per un'intervista televisiva a uno scienziato tedesco, specializzato sui problemi che riguardano la fame del mondo, un uomo molto riservato, che ormai da parecchi anni non ha pubblicato più nulla e che vive ritirato e isolato, non molto lontano dal villaggio in volontario "eremitaggio", a causa di una grave crisi  che si concretizza in un totale senso di avvilente impotenza di fronte ai milioni e milioni di esseri umani che nel mondo continuano a morire di fame nell'indifferenza generale. Fontana è affascinato da questo silenzio nel quale coglie un disagio diverso, ma in fondo molto simile nella sostanza a quello che lo ha "colto" dopo quell'incidente che gli è capitato e che lo ha costretto a un lungo periodo di inattività. Ma questo è solo un elemento della storia. Infatti il giorno prima dell'arrivo del giornalista, un operaio italiano - il Mario Ricci del titolo - che lavorava in un cantiere della zona è stato investito sulla sua moto dall'auto del proprietario di un garage  (e morirà dopo pochi giorni per le conseguenze dell'impatto). Il giornalista, anche se all'inizio sembra non essere particolarmente interessato a questa vicenda, a poco a poco si rende invece conto dell'esistenza di una serie di drammatici eventi anche circostanziali, che potrebbero essere tutt'altro che casuali nell'aver provocato la morte dell'operaio. L'attenzione intuitiva e sensibile di Fontana di fronte a queste due situazioni totalmente sconnesse fra loro, avranno così il risultato positivo di salvare dal suicidio un giovane implicato nella morte di Mario Ricci e di far uscire lo scienziato dalla sua crisi esistenziale. Il film, magistralmente diretto da Goretta, si avvale della straordinaria interpretazione di un Gian Maria Volontè ancora una volta in stato di grazia (giustamente premiato proprio per questo ruolo con la Palma per la migliore interpretazione maschile al Festival di Cannes del 1983) che ci offre un'insuperabile lezione di stile e uno splendido saggio di recitazione, non solo attraverso l'utilizzo della parola che sa trattare "da par suo", visto che) riesce davvero a far "recitare" ogni minimo movimento del suo corpo (atteggiamenti, andatura, muscoli facciali, sguardo che è poi alla fine il vero valore aggiunto di una pellicola già di per sé abbastanza corposa e suggestiva. 

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