Regia di Ferzan Özpetek vedi scheda film
“Cuore sacro” conferma quanto Ferzan Ozpetek possa essere senza dubbio considerato un “autore”. I tratti distintivi della sua regia, aiutati dal fatto di aver preso parte anche alla stesura della sceneggiatura, sono evidentissimi e rispettano una certa contiguità con le sue ultime, fortunate, opere (“Le fate ignoranti”, ma soprattutto “La finestra di fronte”).
Irene (Barbora Bobulova) è una cinica e rampante manager che riceve in eredità dal padre, insieme all’azienda di famiglia, anche un carattere forte e vincente. La sua vita va a gonfie vele, ma la visita alla vecchia stanza dove morì la madre e l’incontro con una misteriosa bambina (Camilla Dugay Comencini) cambieranno il suo modo di vedere il mondo.
Il regista italo-turco inscena una storia che s’intride dei suoi più classici topoi: il tema del “diverso”, il manicheismo ontologico del mondo, un perpetuo alone di mistero attorno ai personaggi. La resa complessiva, però, nonostante la sceneggiatura non sia da buttar via e l’interpretazione di una Bobulova sempre più brava e di una straordinaria Comencini (già sorprendente in “Mobbing – Mi piace lavorare”), non convince appieno.
Il film, difatti, in alcuni punti pecca d’autocompiacimento: crede di essere misterioso, ma non lo è affatto. Alcune scene sembrano voler cercare a tutti i costi l’emozione, così come alcune altre non brillano per originalità. Anche il finale, con l’ultima immagine su cui scorrono i titoli di coda, è particolarmente prevedibile. Inoltre, le atmosfere sono perennemente in bilico tra il film drammatico, il fantasy e il thriller: non è un pregio, perché il film non si assesta mai, dando la sensazione di essere un tantinello approssimativo.
Di grande pregio, invece, la metafora dell’aiuto al prossimo: Francesca, figlia dei coniugi suicidi dell’inizio, non apprezza l’”elemosina” di Irene, che comincerà proprio da questo episodio, il processo di conversione che la porterà a cambiare vita.
Nonostante le pecche evidenziate, tuttavia, la capacità autoriale di Ozpetek e le atmosfere che questi sa creare, unitamente ad un messaggio di fondo che, per quanto smaccatamente moralista, è comunque pienamente condivisibile, non fanno scivolare questo film nel baratro, salvandolo con una sufficienza con cui Ozpetek, però, esaurisce il credito accumulato coi minicapolavori che ha filmato in precedenza.
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