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Cuore sacro

Regia di Ferzan Özpetek vedi scheda film

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La recensione su Cuore sacro

di giancarlo visitilli
8 stelle

Sembra un film pensato da Ugo Foscolo: lasciare questo mondo e continuare ad esserci semplicemente restando “alla porta accanto”, non è diverso dall’illusione benefica del nostro sopravvivere alla morte attraverso i sepolcri. Cuore sacro è il quinto film del regista italo-turco Ferzan Ozpetek che, partendo da eventi biografici (la scomparsa di persone a lui care), e dopo film come La finestra di fronte, meno fortunato di Le fate ignoranti, in questo esprime tutta la sua sensibilità nei confronti di un mondo a pezzi, abitato da tanti “sgusciati”.
La storia prende le mosse da quella di Irene, una giovane donna in carriera, che ha ereditato un impero economico e che gestisce con determinazione insieme ad una zia. Il tentativo di effettuare una speculazione immobiliare la metterà però a confronto con un mondo che non aveva mai considerato: quello dei bisognosi, degli emarginati, dei nuovi poveri pieni di dignità. Per Irene sarà il suo cammino sulla via di Damasco. La sua vita cambierà totalmente in un processo di continua e ossessiva ricerca del bene. Ma il suo percorso interiore prenderà una strada imprevedibile e per certi versi tragica. E se la rinuncia ad una vita agiata, lo spogliarsi di ogni ricchezza per donare tutto ai poveri, ci rimanda direttamente alla scelta di Francesco d’Assisi, il confrontarsi con la miseria e il male per comprenderne i motivi, trovare un senso in una dimensione umana nella quale non conta più nulla il potere, il denaro, ecc. è molto vicino alla scelta di grandi uomini e donne contemporanee, da Gino Strada a don Oreste Benzi, a tutti coloro che nel silenzio quotidiano operano per il bene dell’umanità.
Molto emozionante è la scena in cui Irene, in una caotica stazione della metropolitana, si toglie i gioielli e li dona ad una donna sconosciuta, si spoglia mettendo a nudo più che il suo corpo, la sua stessa dignità di donna. Molto forte la stessa scelta di Ozpetek di operare con una macchina da presa che sta ora spiaccicata sui corpi che vivono l’esperienza del dolore e del cambiamento, quasi a voler entrare nel loro animo, che poi vortica turbinosamente con movimenti rotatori velocissimi, che danno il senso dello stordimento esistenziale, dell’ingresso definitivo in una sfera che supera le dimensioni umane. E se questa scena rimanda a Teorema di Pier Paolo Pasolini (lì c’era un industriale che si spogliava completamente nudo alla Stazione Centrale di Milano per poi ritrovarsi nel deserto) il contenuto non può fare a meno di farci rammendare il Rossellini di Europa ’51, la Cavani di Francesco e il finale Mimì Leder di Un sogno per domani.
Ozpetek non si rifà direttamente all’esperienza cristiana: la sua ottica si nutre di sincretismo e di una religiosità di matrice laica, ma la sua grandezza in questo film consiste nel suo concentrarsi molto sul versante emozionale, a causa del cambiamento di Irene. In lei non muta la visione del mondo per una presa di coscienza ideologica, ma sono gli eventi e gli incontri che la persuadono, ad indurla a provare sentimenti di empatia nei confronti dei diseredati e degli emarginati, che vivono fuori dall’ordine della società capitalistica. Sono questi i cosiddetti sgusciati a cui è dedicato il film: ai tanti bambini che non hanno genitori, ai barboni, a coloro che per il tradimento vivono la concupiscenza della fine, non escluso alcuno. Il tutto è reso maggiormente credibile dalla memorabile interpretazione della Bobulova e della stessa Gastoni, che non sfigura affatto al suo fianco. Una menzione la meritano anche le musiche di Andrea Guerra, che commentano magnificamente la conversione in sacro del cuore di Irene Ravelli. La bellezza di tale conversione è che essa cambia veramente il modo di pensare alla vita, a cominciare dalle semplici consuetudini, come può essere quello di lasciare fiori freschi in una casa disabitata. Non c’è nessuna logica razionale che guida le azioni, quando si tratta di un cuore che comanda e in tal caso, più che la pietà per gli altri (richiamata in una bellissima sequenza in cui Irene sembra scalfita come la “Pietà” di Michelangelo, nei confronti di un barbone) ciò che si prova è la sacralità di un sentimento che chiamiamo amore.
Giancarlo Visitilli

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