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La casa degli incubi

Regia di Jacques Becker vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La casa degli incubi

di hupp2000
8 stelle

In piena occupazione tedesca (1942), Jacques Becker ambienta il film nella Francia più profonda, in una dimensione contadina scomparsa da decenni. La famiglia Goupi del titolo originale vive in un villaggio della Charente. E’ una famiglia di contadini molto all’antica, governata dall’autoritario Mes Sous e dalla non meno ruvida moglie Tisane. Intorno a loro, fratelli, zii, un nonno ultracentenario, la nipote Muguet e due Goupi emarginati per antichi rancori, Mains-Rouges et Tonkin, che vivono in due casupole nel bosco circostante. Un giorno, Mes Sous richiama da Parigi Eugène, suo figlio di primo letto che ha lasciato il paese 25 anni addietro insieme alla madre. Padre e figlio praticamente non si conoscono ed Eugène viene chiamato da tutti “Monsieur”, perchè vive nella Capitale e lo credono direttore di un prestigioso grande magazzino. In realtà, è un modesto impiegato al quale Mes Sous e Tisane vogliono dare in sposa la giovane Muguet. L’arrivo di “Monsieur” coincide però con l’assassinio di Tisane e con la scomparsa di un’ingente somma di denaro. I sospetti ricadono sullo sperduto parigino, ma Mains-Rouges scoprirà il vero colpevole, che morirà in un disperato tentativo di fuga. Eugène e Muguet si sposano e tutti vivono felici e contenti.

 

La trama è solo apparentemente banale. Il film, tratto da un romanzo di Pierre Véry che ne cura adattamento, sceneggiatura e dialoghi, descrive magistralmente i rapporti familiari e la mentalità dominante in una società rurale d’altri tempi. Pregiudizi, invidie e desideri di rivalsa non impediscono alla piccola comunità di essere saldamente radicata nel suo territorio e fedele ai suoi arcaici principi. Come in tutti i film francesi di quegli anni, sottoposti all’inflessibile controllo da parte dell’occupante tedesco, la politica non ha diritto di cittadinanza; una censura che non ostacola tuttavia la capacità di Jacques Becker di denunciare retaggi destinati ad essere spazzati via dopo la Liberazione. Il regista dispone peraltro di uno stuolo di attori sorprendenti anche se poco conosciuti. Tutti i personaggi sprizzano naturalezza ad ogni battuta, fanno rivivere archetipi di figure contadine semplici quanto genuine, inserite in uno scenario che rasenta la rappresentazione documentaristica. Coadiuvata da una splendida anche se cupa fotografia, l’ambientazione è indovinata in ogni sequenza: il casolare, l’aia, il bosco, gli animali della fattoria, gli strumenti di lavoro, gli arredi degli interni, ogni dettaglio concorre a restituire l’immagine della società rurale prima della Seconda Guerra Mondiale. Inevitabile l’accostamento con un altro capolavoro dell’epoca, “Le corbeau” (1943) di Henri-Georges Clouzot, film molto più drammatico, ma anch’esso testimone di come il cinema francese riuscì a restare vivo a dispetto degli anni bui dell’Occupazione.

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