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Un albero cresce a Brooklyn

Regia di Elia Kazan vedi scheda film

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Utente rimosso (SillyWalter)

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La recensione su Un albero cresce a Brooklyn

di Utente rimosso (SillyWalter)
7 stelle

Nella sua autobiografia Elia Kazan definisce questo suo esordio cinematografico "una favola sentimentale".

 

 

 

        Francie è una ragazzina di undici anni che vive con i genitori e il fratello minore in un caseggiato popolare a Brooklyn nei primi anni del 1900. La miseria è l'unico orizzonte disponibile ma la famiglia di Francie l'affronta con determinazione e organizzazione certosina, soprattutto grazie alla coscienziosa mamma Katie, che oltre ad occuparsi della casa sbrusca le scale del palazzo e insegna ai figli a riciclare, strizzare ogni nichelino e privarsi di leccornie e balocchi. Papà Johnny è invece la cicala del gruppo. Fa risuonare le strade dei suoi gorgheggi, è sempre sorridente e prodigo di saluti con tutti, ma col suo lavoro saltuario di cameriere/cantante non è di gran supporto alle finanze domestiche. In più ha la tendenza ad alzare il gomito oltre il livello di guardia e a riempire le orecchie dei congiunti di sogni in libertà, come ad esempio quello ricorrente di essere scoperto da un impresario mentre canta e serve ai tavoli. La piccola Francie ha un intelletto vispo e ama studiare, ha la passione della lettura e il fiero proposito di leggere tutti i libri della biblioteca pubblica (la incontriamo in procinto di prendere in prestito "Anatomia della malinconia" solo per rispettare l'ordine alfabetico). Con la complicità del padre, ben disposto a barare per accontentarla, riesce anche a farsi trasferire in una scuola di un quartiere elegante dove potrà mettere a frutto la sua fantasia e la sua sete di sapere. Tutto sembra andare per il meglio quand'ecco che dopo aver festeggiato il Natale con misurata letizia Katie rivela a Johnny di essere incinta. Lui è esultante, lei invece è angosciata per l'avvenire e non crede alla pronte e svaporate promesse di cambiamento del marito. Johnny si sente in colpa, esce di casa con l'idea di trovare il riscatto in un lavoro stabile ma non fa più ritorno. Viene ritrovato in fin di vita il primo dell'anno e subito dopo muore. La causa, dice li coroner, è una polmonite provocata da acuto alcolismo. Il colpo si rivela particolarmente duro soprattutto per Francie, che insieme al padre perde anche il sorriso e lo slancio vitale. L'atmosfera di casa si incupisce ulteriormente quando la bambina viene a sapere dell'intenzione della madre di ritirarla da scuola e metterla a lavorare, facendo invece proseguire gli studi allo svogliato fratello minore. Il proposito non trova compimento perché un barista amico del padre offre un provvidenziale lavoro part-time sia a Francie che al fratello, ma il rapporto tra madre e figlia resta incrinato. Cominceranno a riavvicinarsi la notte in cui, inattesa, arriverà la nuova sorellina e Francie si troverà da sola ad aiutare la madre a far nascere la piccola Annie Laurie (che prenderà il nome da una vecchia canzone scozzese amata dal padre, come da filmato agli atti). 

 

 

        "A quei tempi il produttore controllava tutto. Preparava lo script. Di solito lo scriveva insieme a uno sceneggiatore, ma non ci metteva il suo nome. Bud Lighton (produttore del film) scrisse la sceneggiatura di UN ALBERO CRESCE A BROOKLYN. Non ho mai incontrato i tizi che l'hanno firmata. (...) Lighton scelse un cameraman che potesse aiutarmi – Leon Shamroy. Anche se avevo studiato un po' di filmmaking e fatto alcuni documentari, non avevo esperienza con questo tipo di produzione. Lighton organizzò tutto molto bene. Eravamo un buon team. C'era armonia e calore, mai una parola sgarbata, ma il sistema in sè era terribile. (...) Stavo imparando a fare film mentre ne facevo uno. Solo più avanti riguardandolo ho pensato «È proprio sdolcinato e non è da me.» " ~ Elia Kazan

 

 

 

        UN ALBERO CRESCE A BROOKLYN è un ibrido ricco di momenti e idee interessanti, ma molto più disomogeneo rispetto al Kazan che verrà. Lo si può forse vedere come un primo tentativo di una pratica che in seguito lo farà grande: iniezioni di realismo nel melodramma. Ma molto più verosimilmente va visto come un multicolore Arlecchino servitore di troppi padroni...

        È curioso, perché visto a posteriori (il molto posteriore oggidì), pare che di questo film siano state apprezzate più le cose "sbagliate" che quelle giuste. "Sbagliate" nel senso di elementi che, se Kazan fosse stato più maturo (e avesse avuto più potere), non avrebbero trovato ospitalità in questo edificante strumento d'intrattenimento popolare. O almeno non in questa forma. 

        Mi spiego: di UN ALBERO CRESCE A BROOKLYN si ricordano solitamente le performances di James Dunn (as papà Johnny) e Peggy Ann Garner (as Francie), entrambe premiate con un Oscar (per quanto quello di Peggy sia un Oscar speciale – o "Junior" – fatto apposta per lei). Ecco, proprio il personaggio interpretato da James Dunn è particolarmente significativo per capire il taglio complessivo: per quanto possa aver incontrato il favore del pubblico e dell'Academy, la sua figura suona particolarmente estranea all'ambiente di povertà "reale" che si vuole dipingere. Questo simpatico sbronzone canterino non mostra alcun segno delle sgradevolezze reali dell'alcolismo (di cui però morirà...ma naturalmente fuori scena...) o delle usuranti privazioni della miseria in cui vive; sembra venire da uno spettacolo di vaudeville o da un musical dei più spensierati (e non a caso quest'opera diventerà successivamente anche un musical di successo). È un personaggio quasi completamente spogliato dei suoi tratti drammatici per favorire...una svolta drammatica in uno stile non traumatico. Paradossale ma vero. Infatti quando papà Johnny esce definitivamente di scena il lutto e la tristezza si fanno sentire in tutta la loro asprezza anche per via del contrasto con l'insolito, profondo silenzio che si viene a creare. Ci si accorge con piena evidenza che quella che usciva dalla bocca di papà Johnny era quasi l'unica musica di tutto il film. Il che, ad esempio, contribuisce a determinare l'efficacissima l'atmosfera della scena della veglia pre-parto, dove gli stenti, lo pseudodelirio materno e l'imbarazzo fra le due protagoniste vengono amplificati dall'attesa snervante nel buio della notte fonda, con in sottofondo il costante, infausto assedio della pioggia. Scena molto bella, dotata di una "gravitas" reale che sale dall'ambiente.  

        

 

 

        Forse l'aspetto in cui più si nota "l'assenza" di Kazan e la preponderanza del produttore-sceneggiatore Lighton è la recitazione. Il regista piu Strasberghiano di tutti, che diverrà famoso per come riuscirà a trarre meraviglie dai suoi interpreti, qui probabilmente si ritrova tra le mani un rassicurante melodramma a cui è impossibile sottrarsi, soprattutto per un novellino (va anche considerato che si era in piena seconda guerra mondiale e tutte le produzioni cinematografiche avevano il dovere di essere positive e "uplifting". Troppi ce n'erano già di drammi veri). Di conseguenza la recitazione e le caratterizzazioni sono dominio quasi esclusivo di uno stile da melodramma leggero, un po' per tutti i personaggi. Se si vuole un esempio evidente dello sdolcinato di cui parla Kazan si dia un'occhiata al discorso cuore a cuore tra padre e figlia in cui papà Johnny espone a Francie l'ingombrante metafora dell'albero che si fa strada nel cemento, con in sottofondo la stucchevole ninna-nanna di Brahms, e gli occhi sognanti al cielo della bambina che abbraccia il papà... GOSH! 

locandina

Un albero cresce a Brooklyn (1945): locandina

 

        Ha invece un'impronta più chiaramente realistica la scrupolosa ricostruzione d'ambiente, dalle scricchiolanti abitazioni, ai cenci rattoppati con cui vestirsi, alla variopinta e vociante umanità che affolla strade e botteghe. In questo potrebbe aver giocato un qualche decisivo ruolo il fatto che di New York erano originari sia Kazan che il direttore della fotografia Leon Shamroy (non uno qualunque, recordman di nomination agli Oscar per la fotografia: 18, con 4 vittorie per IL CIGNO NERO, WILSON, FEMMINA FOLLE e CLEOPATRA...e ovviamente timbrerà il cartellino con una nomination anche per la bella fotografia  in bianco & nero molto contrastato di UN ALBERO CRESCE A BROOKLYN). 

 

      Come si è detto, questa è un'opera che ha molti autori (a cominciare da Betty Smith, autrice del più lungo e più aspro romanzo da cui il film è tratto) e capita pertanto che da questo ricco humus fuoriescano di quando in quando scene sorprendenti e commoventi, svolte ingegnose, particolari ricostruiti minuziosamente che rendono l'esperienza della visione stimolante e mai monotona, anche se poco organica e un tantino disorientante (soprattutto al fine di stilare un giudizio omnicomprensivo). 

       Un ultimo doveroso accenno alla sfacciata zia (secondo una visione ridicolmente puritana...la sorella Katie le rimprovera di andare alla ricerca di un nuovo marito SOLO sette anni dopo che il primo è fuggito...), zia interpretata da Joan Blondell, vivacissima e brillante, e in maniera molto più naturale di chiunque altro. 

        P. S. - C'è anche una comparsata di Nicolas Ray nella parte del garzone di un fornaio. 

 

 

 

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