Regia di Satyajit Ray vedi scheda film
Una specie di neorealismo indiano, questo è forse il genere a cui può appartenere questo film. Certo, il tono e l'atmosfera sono diversi da quello italiano, ma i personaggi e l'ambientazione non sono poi così dissimili: povera gente che tira avanti come può tra mille difficoltà, povertà, e disgrazie. Questo film, più precisamente, narra quasi solamente la vita quotidiana della famiglia di Apu, una specie di protagonista che però rimane sullo sfondo, quasi come spettatore. Molti degli eventi narrati fanno parte della vita normale e quotidiana, con i suoi problemi e i suoi imprevisti. Anzi, il regista dedica grande attenzione nel seguire i suoi personaggi nelle più normali occupazioni e attività, che però egli sa catturare con attenzione, rispetto, e non di rado lirismo. La cinepresa cattura espressioni del viso e moti dell'anima dei personaggi con grande semplicità, eppure anche profondità, mantenendo un tono quasi minimalista. La rappresentazione della piccola comunità rurale non nasconde i difetti e le miserie umane dei suoi componenti, come le rivalità interne, le invidie, i pettegolezzi, i bisticci. Il regista mostra tuttavia anche come l'irruzione della tragedia e del dolore nella vita di una famiglia induca tutti gli altri a mettere da parte le antipatie e la vecchia ruggine per stringersi in solidarietà attorno agli sventurati. Non per nulla il film ha ricevuto anche un premio per l'esaltazione dei valori umani. Esso offre anche una bella rappresentazione del rapporto tra fratello e sorella.
E' un tipo di cinema diverso da quello a cui siamo abituati - tanto più da quello frenetico e frivolo di oggi - ma che costituisce comunque un'esperienza interessante, la quale rivela tra l'altro la statura umana di chi lo ha prodotto. Di registi come Ray si è perso oggi persino il concetto.
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