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La vendetta dei 47 ronin

Regia di Kenji Mizoguchi vedi scheda film

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La recensione su La vendetta dei 47 ronin

di Peppe Comune
10 stelle

Giappone 1971, palazzo dello shogun di Edo durante il periodo dello shogunato di Tokugawa (1603-1868). Il nobile Asano Naganori (Arashi Yoshizaburo) ascolta non visto le pesanti offese fatte contro la sua persona dal "vecchio" maestro delle cerimonie di corte Kira Kozunosuke (Mimasu Mantoyo). Nel "corridoio del Pino" Asano coglie di spalle Kira e tenta di ucciderlo. L'aggressione non va a buon fine : Kira si ristabilisce presto e non riceve alcuna punizione per le offese pronunciate ; Asano, invece, viene messo sotto la custodia del nobile Tamura e condannato a fare seppuku (rituale di suicidio in uso presso i samurai). La sua famiglia viene destituita e i beni confiscati. Contro quella che sembra una condanna iniqua, il ciambellano del clan degli Asano Oishi Kuranosuke (Kawarasaki Chojuro) medita vendetta. Deve però tenere a freno l'irascibilità di molti vassalli che vorrebbero vendicare subito il disonore arrecato al loro signore. Perchè Oishi vuole agire con calma, per trovare un'adeguata giustificazione all'azione vendicativa e riabilitare di più e meglio il buon nome della casata. Solo 47 "ronin" (tali perchè espropriati del loro padrone) accettano la strategia d'attesa del ciambellano e anche se le cose vanno molto diversamente da come lui aveva previsto, la vendetta è ormai marchiata nel loro cuore e dovrà necessariamente compiersi.

 

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La vendetta dei 47 Ronin - Scena

 

"La vendetta dei 47 ronin" di Kenji Mizoguchi è un film di raffinata maestria stilistica, una storia di samurai raccontata con le cadenze ritmiche del teatro, che guarda alla loro epica riflettendone principalmente le pulsioni sentimentali, con un asciuttezza di linguaggio e una purezza di sguardo che arrivano a farsi vero scandaglio dell'animo umano. E' incentrato sulle sacre regole del bushido (codice comportamentale dei samurai) e sull'attegiamento assunto da chi ne diventa a tal punto fedele da annullare l'autonoma esplicazione della propria personalità. E' un mondo lontano il Giappone del 1700, dove l'ncondizionata fedeltà al daimyo (la carica feudale più importante in Giappone) porta all'estreme conseguenze l'etica dell'onore su cui si fonda la vita del samurai, fino a considerare la morte per ragioni legate alla difesa dello spirito di casta un premio per il lodevole coraggio dimostrato. Un mondo che Mizoguchi ritrae con estremo realismo, senza alcuna accentuazione spettacolare, concentrandosi più sugli uomini lacerati dalla necessità di dover prendere o subire delle decisioni che sulla rappresentazione circostanziata dei fatti che le hanno prodotte. Come chi intende fornire un contributo di conoscenza senza veicolarne l'esito, limitandosi ad aderire alla storia del suo paese per proiettare verso l'esteno i tratti fondamentali di un particolare e complesso contesto culturale, quelli suscettibili di permeare nel profondo il carattere di una nazione e di far sentire i suoi influssi cognitivi ben oltre il periodo storico che ne ha sancito la sacralità. Come già si evidenzia dal titolo, il film ruota intorno all'esecuzione di una vendetta, scaturita dalle umane debolezze dell'uomo e sancita dalla sacralità di un codice comportamentale che indirizza la strada da prendere più di ogni altra opportuna digressione alla regola. Mizoguchi punta molto su questo rapporto, sulla natura che si vorrebbe addirittura divina di effetti umanamente ascrivibili a cause terrene e tende a "normalizzare" il tutto accentuando l'aspetto strategico del ruolo principale di Oishi, insinuando l'inganno, il tradimento, il dubbio lungo la strada che porta all'incontro sicuro con la morte. L'esposizione più "spettacolare" dei fatti rimane volutamente fuori campo, i grandi signori che decidono come le enunciazioni delle sentenze adottate, il rituale del seppuku come la stessa vendetta dei 47 ronin. L'etica del samurai è trattata soprattutto nella sua dimensione meditativa, come momento di autentica austerità emotiva e ricerca introspettiva, come il luogo in cui si accetta senza obiezione alcuna la strada intrapresa dal destino. L'unica vita che vale la pena di essere vissuta è quella consegnata nelle mani del bushido, per il quale l'atto eroico è la diretta promanazione della condizione di inferiorità dell'uomo alla regola e l'estremo sacrificio la naturale conseguenza della sua fideistica accettazione. Il ciambellano Oishi incarna in tutta la sua tragica solennità questo spirito, è il cerimoniere di un rituale già disciplinato nei sui tratti fondamentali ma a cui bisogna conferire il senso più congruo possibile alle aspettative di una giusta vendetta da compiere. Se è certo l'esito verso cui tende la vita di ognuno, bubbi rimangono sulla geometrica implacabilità con cui tutto dovrà compiersi. "Sembra che siano morti con grande dignità. Abbiamo portato a termine la nostra missione". Poi si sente una voce che proclama il suo nome, Oishi Kuranosuke, l'ultimo a dover fare seppuku. Ancora l'ellissi della morte. Capolavoro.

 

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