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Tutte le ore feriscono... l'ultima uccide

Regia di Jean-Pierre Melville vedi scheda film

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La recensione su Tutte le ore feriscono... l'ultima uccide

di carlos brigante
10 stelle

Dopo una prima didascalia "informativa", eccone una seconda che dice:

"Alla nascita, un solo diritto è riconosciuto all'uomo:
la scelta della propria morte.
Ma se questa scelta è dettata dal disgusto per la vita, allora la sua vita sarà stata risibile
".

Sin da subito si percepisce quale sarà l'atmosfera che accompagnerà la visione di questo "Le deuxième souffle"; un'atmosfera, appunto, impregnata da un senso di fine imminente.

La prima inquadratura mostra tre uomini nacosti su un tetto. Subito dopo si capirà che questo tetto è quello di una prigione e che questi tre individui altro non sono che tre carcerati che tentano di fuggire. Tra di essi vi è Gustave "Gu" Minda (Lino Ventura), condannato all'ergastolo. Gu decide di sfuggire alla propria condanna e tentare un'ultima chance che gli permetta di tornare a vivere; un'ultima chance che gli consenta di ritornare nuovamente a sperare.

Melville, come negli altri suoi polar più conosciuti, dirige in maniera impeccabile e dà vita ad un mondo disilluso, violento e cinico che non lascia scampo.
Melville è una sorta di apolide della cinematografia. Non può essere inserito in nessun movimento. Se il suo spirito è francese; il suo cuore è americano. Se da una parte guarda alla grande tradizione dei noir americani (Huston in primis) o al western (non lo spaghetti-western!), dall'altra, la dilatazione dei tempi e delle azioni richiama alla tradizione europea, o meglio francese, di fare cinema. I suoi personaggi sono cow boy metropolitani in impermeabile e cappello, che invece di andare a cavallo guidano grandi auto americane. I loro sguardi, la laconicità che esprimono i loro volti, richiamano quei personaggi disillusi e "(dis)persi" rintracciabili nelle pellicole di R. Bresson. Le stesse ellissi narrative che (volutamente) non spiegano sempre ogni minimo particolare, sono tipici dello stile bressoniano o di quello della Nouvelle Vague.
L'universo melvilleiano messo in scena in "Le deuxième souffle", è dominato dalle figure maschili; ma quelle femminili non sono "abolite" come ne "I senza nome". Non ci sono solo ballerine da night club. C'è anche Manouche (Christine Fabrèga), la compagna di Gu, che ha un ruolo tutt'altro che di secondo piano. Manouche è una donna che ama il suo uomo ma che è conscia di vivere con un potenziale "uomo morto che cammina". In un mondo in cui il confine tra giustizia e ingiustizia, tra Bene e Male, tra polizia e malavita, è un qualcosa di labile e non definito, tutto può accadere. La tragedia è sempre dietro l'angolo anche quando viene calcolato ogni minimo dettaglio. L'indole umana e soprattutto il gioco beffardo del Caso, tirano brutti scherzi! Gli sbirri non sono più quelli di un tempo e usano i metodi della mala. La stessa malavita è in evoluzione. Il codice d'onore pare non essere più di casa. Per uno come Gu, tutto questo è inaccettabile e il suo destino sembra definitivamente segnato. Egli è una specie in via di estinzione. Niente e nessuno pare poterlo salvare; neppure (da) se stesso.

Melville sfrutta a pieno l'asciutezza, il "verismo" (come dichiarato da Massimo Carlotto) di Josè Giovanni (qui anche cosceneggiatore del regista). La regia assimila quella distanza che Giovanni ha posto tra i suoi personaggi e il pubblico, anche se è impossibile non "tifare" per Gu Minda.

Se volete il Cinema ai massimi livelli; se siete amanti del noir/polar d'autore, non potete perdervi questo "Le deuxième souffle". Un polar che coniuga magistralemnte forma e contenuto. Un'opera che, immersa in un nitidissimo, e al tempo stesso agghiacciante, bianco e nero, e racchiusa in inquadrature "oblique" dalla forte profondità di campo, emana una potenza inossidabile ancor oggi.
Non capire ciò, mi sembra delittuoso!

N.B. Colpevolmente dimenticato dalla cieca distribuzione italiota, è fortunatamente reperibile in rete in francese sottotitolato in italiano.

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