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La cinese

Regia di Jean-Luc Godard vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La cinese

di hallorann
10 stelle

Agli albori del ’68 Jean-Luc Godard aveva già capito tutto? Forse. LA CINESE è un fiume in piena di sequenze, frame e fotogrammi, carrelli, piani fissi e americani. La vista e l’udito pienamente stimolati. Andiamo in (dis)ordine: classi operaie, aumenti salariali, capitalismo europeo, scioperi generali rivoluzionari, insurrezione armata, azioni rivoluzionarie delle masse sono alcune delle parole e delle frasi riconducibili al vocabolario della gauche pronunciate da alcuni ragazzi che vivono in un appartamento dalle porte e dalle persiane colorate. Colori forti, colori della bandiera francese uniti al rosso acceso e accecante del libretto di Mao. Una bibbia per Guillame, Veronique, Yvonne ed Henry. Quasi per tutti. Nelle mura domestiche si stagliano scritte come “Bisogna confrontare le idee vaghe con immagini chiare” o “Alla corretta linea rivoluzionaria una minoranza non è più una minoranza”. Henry rientra pesto da una manifestazione, è stato aggredito da un gruppo di studenti marxisti-leninisti. Intanto si prepara un film in fieri dove l’attore Guillame parla di Cina, teatro e genitori borghesi da cui affrancarsi. “In Cina fanno cose fantastiche rispetto a Parigi e Leningrado”, “Strehler ha messo in scena una piece di Brecht con testo di Althusser”, “La politica è il punto di partenza di ogni azione pratica di un partito rivoluzionario”. Se il marxismo-leninismo è un sole rosso che tramonta, Jean-Pierre Leaud/Guillame declama il significato di comunista direttamente dal pensiero di Mao:” Egli deve chiedersi il perché di tutto”. Si dibatte con un docente di filosofia di colore che le idee giuste vengono dalla lotta di classe, la quale non scompare sotto la dittatura del proletariato per citare Lenin. Lavorare significa lottare, cercare la verità nei fatti. Quali sono le tre ingiustizie di un regime capitalista? La divisione tra lavoro intellettuale e manuale, tra città e campagna, tra agricoltura e industria. Quest’osservazione di Veronique viene fatta sulla base dell’esperienza di Yvonne ché proviene dalla campagna e ha deciso di studiare. I libri non si devono bruciare perché altrimenti non possiamo criticarli. Guillame fa una rappresentazione teorico-pratica: gli americani hanno sganciato più bombe su un piccolo paese (il Vietnam) che in tutta la seconda guerra mondiale; i russi sono un po’ codardi “fai ciò che dico ma non ciò che faccio”; per i cinesi l’imperialismo e i reazionari sono tigri di carta, i nemici vanno strategicamente disprezzati ma tatticamente tenuti conto. E poi via con le contraddizioni degli occidentali indifferenti e parassiti, della politica americana…Si prende atto che la rivoluzione culturale è un fatto storico, interna alla rivoluzione cinese, solo le lezioni teoriche e pratiche sono esportabili. “L’immaginario non è il riflesso della realtà, è la realtà di quel riflesso”. Intanto Henry viene espulso dalla cellula perché accusato di revisionismo, lui in un’intervista successiva accusa Veronique la cinese di confondere il marxismo col teatro, insomma di avere una visione romantica. In treno Veronique incontra un suo vecchio professore, il quale rimprovera lei e i giovani di scarsa lungimiranza. “Se lo stato delle cose è odioso o fatto male pensate di porvi fine ma non pensate al dopo”. E ancora ribadisce il loro essere velleitari perché se non saranno sostenuti da una comunità o da una classe sociale non andranno da nessuna parte. Serge entra in crisi personale, poco prima di suicidarsi firma il documento proposto dalla cellula che prevede l’assassinio di Michael Chalokhov, ministro sovietico della cultura in visita a Parigi “per impedire che il fantoccio sovietico assista all’inaugurazione della nuova facoltà di Nanterre dove dovrebbe parlare alla presenza dei fantocci Malraux e Fouchet”. La violenza come risposta all’asfissia culturale universitaria francese…

 

Un fiume carsico di chiacchiere e citazioni, nozioni e idee per arrivare ad una conclusione bluff e alla riflessione consolatoria del piccolo passo compiuta da Veronique/Anne Wiazemski. Godard con LA CHINOISE anticipa ciò che da lì a pochi mesi esploderà con il maggio francese. Getta le basi per un futuro che diventerà presente un anno dopo, contorcendosi nell’ideologia fino alla nausea per staccarsene con autoironia e autocritica. I compagni si contraddicono, si dissociano, si suicidano per la causa. Illuminante il confronto tra la studentessa protagonista aspirante rivoluzionaria e il professore lucido e obiettivo con tanto di metafora esplicativa. Al contempo militante e oggettivo, filomaoista e ironico, storiografico e sperimentale. Il nozionismo, la teoria ammorberanno l’azione che infatti rimarrà fuori campo, non riproducibile non registrabile non all’altezza della cellula. Un capolavoro-reperto archeocinematografico tuttora godibile. “Tutte le strade portano a Pechino” ma la Cina non è vicina, come ribadito tra le righe. Contraltare dell’ipotesi bellocchiana mutuata anche quella da una buona dose di ironia. In Italia per dirla alla Longanesi la rivoluzione non sarebbe mai stata possibile perché ci conosciamo tutti. Lo stile Godard fece scuola ben prima de LA CINESE, ma anche vittime come l’insopportabile Bertolucci di PARTNER. “Colpirne uno per educarne cento”. Il maoismo e il marxismo-leninismo col tempo si sono ridotti a una bellissima frase dell’ex grande timoniere “nessun banchetto sotto il cielo è eterno”.

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