Regia di Marianne Métivier vedi scheda film
TORINO FILM FESTIVAL 43 (2025)
“Ailleurs la nuit” è costellato da una vasta quantità di suggestioni multisensoriali, ma appare incapace di disporle metodicamente in un chiaro disegno d’insieme che si palesi unendo quei luminosi puntini che singolarmente, nel proprio ermetismo, finiscono per lasciare allo spettatore margini di manovra troppo ampi per non maleodorare di comoda elusione della percettibile cavità di fondo.
Sebbene le due storyline si dipanino da antipodi geografici, risultano affini nella sensazione di inadeguatezza trasmessa dai luoghi ai personaggi che li popolano, generando in essi un impulso di escapismo che li conduce all’additamento del fattore ambientale quale causa del proprio vuoto interiore, fino al dissolversi di tale illusione con l’emergere della consapevolezza che a rendersi fondamentale non è tanto l’adesione agli spazi quanto alle anime, trovando cura nel farle risuonare vicendevolmente, anche solo per un istante.
La dicotomia tra natura e manufatto umano, tra rumore artificiale e suono naturale, come pure tra anfratti abitativi ed emotivi, è resa in modo sostanzialmente efficace dall’utilizzo ricorrente della soggettiva e del suono intradiegetico che, rendendo indirettamente fruibile allo spettatore l’installazione sonora a cui lavora Marie, permette di carpire la gamma di emozioni contrastanti che la attraversano.
Tra i pochi istanti espliciti, risalta la scena in cui i due coniugi (?) in crisi, isolati in separate stanze, tornano a guardarsi negli occhi attraverso il reperto digitale, osservando video e fotografie nel vano tentativo di riacciuffare una stagione della vita ormai al tramonto.
In generale, tuttavia, i (troppi) protagonisti restano poco più che figuranti in una disorientata raccolta di frammenti quotidiani, in cui la recitazione si rivela diffusamente asettica, al punto da appiattire volti e caratteri, facendone sfumare nell’etere ogni flebile ricordo al termine della visione.
Tutto resta sospeso, figlio di una scrittura oltremisura approssimativa che non conosce i nodi per stringere strettamente quel filo rosso che lambisce le vite raccontate, in un’opera ponderata più nella forma che nel contenuto, permeata da una sottile atmosfera comunque insufficientemente strutturata per farsi sostanza e non cedere il passo a un evanescente nugolo di fascinazioni dal nebuloso centro di gravità.
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