Regia di Ester Ivakic vedi scheda film
TORINO FILM FESTIVAL 43 (2025)
Un giorno come un altro, nel cimitero del villaggio, l’anziana nonna di Ida sembra esalare l’ultimo respiro, per poi, miracolosamente, resuscitare al balenare di una misteriosa melodia. Da quell’istante, nella mente della giovane germoglia la convinzione che la musica possa prolungarle la vita all’infinito.
Non resta dunque altra scelta se non quella di iscriversi al detestato gruppo di canto della scuola, dovendo risolvere al più presto il piccolo inconveniente di essere terribilmente stonata. Nel frattempo, però, nuove incombenze quotidiane si affacciano all’orizzonte e Ida, grazie all’intermediazione dell’unica amica che possiede - cresciuta sotto l’egida della Vergine Maria - si trova costretta a ricorrere a una carta fino a quel momento mai considerata, vivendo sotto il mantello dell’ex Jugoslavia: l’intercessione divina.
Senza troppi giri di preghiere, ben presto diviene prassi invocare anatemi e favoreggiamenti, dando vita a un affresco di candida e spassosa ingenuità che ritrae perfettamente quell'atmosfera di fanciullesca noia mista a spensieratezza, stagliata su un magico fondale mortifero sempre pronto a prendersi la scena, calcificando i primi traumi dell’età infantile.
“Ida Who Sang So Badly Even the Dead Rose Up and Joined Her in Song” può fregiarsi della capacità di saper osservare il mondo con occhi trasognanti, offrendo al pubblico il medesimo punto di vista dei suoi protagonisti, soggetti all’amplificazione della portata di ogni esperienza che diventa dunque, a seconda dei casi, più divertente o più dolorosa di quanto dovrebbe.
La solitudine dei figli unici, costretti a rifugiarsi nella fantasia e negli amici, traccia una linea di esplorazione dei caratteri che inserisce intelligentemente anche la variabile adulta, mostrando come, anche in età differenti, si possano condividere gli stessi sentimenti di smarrimento e isolamento. Ne emerge così un sostegno reciproco, fondato sulla semplice consapevolezza che anche gli adulti, un tempo, sono stati bambini.
Le giovani interpreti dimostrano talento, naturalmente buffe nella loro genuinità; la protagonista, nondimeno, avrebbe giovato di un’ulteriore introspezione tramite il mezzo cinematografico, con inquadrature più strette sui lineamenti, spesso trascurate a favore di un utilizzo sovrabbondante della camera a mano per piani medi e figure intere, in una composizione visiva generale spesso limitata, inadeguata a restituire la proiezione estetica di una simbologia a tratti troppo estemporanea.
Il risultato complessivo è un’accogliente commedia dai toni agrodolci che, se osservata dal punto di arrivo verso la partenza, appare sinuosamente compatta, sebbene durante il proprio corso sembri sfilacciarsi e ricomporsi in un incedere incerto; ad ogni modo, è indubbia la rinfrescante qualità di rilettura del classico racconto di formazione, condito da originali pennellate e unicamente reo d’una superflua accessoristica da opera prima che riesce comunque a scrollarsi presto di dosso, andando a imprimersi dolcemente nei cuori degli spettatori.
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