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Il cimitero del sole

Regia di Nagisa Oshima vedi scheda film

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La recensione su Il cimitero del sole

di spopola
8 stelle

Sesso e violenza sono gli elementi essenziali del cinema perché sesso e violenza servono ad aprire le vie dell’inconscio. (…) I miei film hanno spesso proprio il delitto come tema principale; il criminale costretto a perpetrare il proprio delitto giunge a compierlo per piacere o senza conoscere il motivo che lo spinge. Non sono un criminale nella realtà, bensì nei miei film. I delitti si sviluppano, le scene di delitto affiorano nei miei sogni sempre più forti, più delineate. Immancabilmente questo tipo di sogno si apre con una scena di massacro, con un atto sessuale da maniaco. (…)  E poi ci sono i giovani, o meglio la giovinezza che ho raccontato in molte delle mie opere e che corrispondeva, per lo meno agli inizi della mia carriera, a quella degli studenti impegnati nell’opposizione politica nel paese.  Il 15 di giugno, quando davanti al Palazzo  della Dieta una ragazza venne uccisa dalla polizia, io ero in albergo e stavo scrivendo proprio la sceneggiatura di questo Taiyo no hakaba (il Cimitero del sole, appunto) e non riuscii  a trattenermi dall’accorrere nel luogo dove si era consumata la violenza, di essere presente e solidale. C’era pioggia, sangue e fanghiglia tutt’intorno. Raccolsi un’asta e la diedi agli studenti che venivano scacciati dalla polizia. (…) Come si può ben capire vedendoli, già da allora nei miei film cominciavano ad aleggiare  toni di amarezza e di morte che fin dall’infanzia mi è stata familiare…(…) Consapevole di non poter diventare un rivoluzionario, diciamo che mi sono avvicinato alla rivoluzione con il mio cinema. (Nagisa Oshima, da Il rito, la rivolta: il cinema di Nagisa Oshima, Di Giacomo Editore, 1984 – progetto realizzato dalla Cooperativa “Nuovo Cinema” con la collaborazione di Enrico Magrelli e Emanuela Martini e la prefazione di Lino Micciché)

 

Il cimitero del sole nella filmografia del regista segue a ruota Il racconto crudele della giovinezza, ed è anch’esso ambientato nei bassifondi di Osaka.

E’ la storia di Hanako, ragazza opportunista e senza scrupoli dedita alla sopravivenza ad ogni costo (caratteristica questa che la connota come una specie di angelo della distruzione che si muove per tutto l’arco del film fra duelli all’ultimo sangue, stupri, incendi e molte morti), figlia di uno straccivendolo e fautrice di una losca attività che consiste nel gestire in uno dei quartieri più poveri della città, dei veri e propri ambulatori di fortuna in cui i sottosalariati e i disoccupati possono andare a vendere per pochi soldi il loro sangue che poi verrà smerciato a ben più alte quotazioni, negli ospedali del paese.

Il capo di questa banda di parassiti  è Shin (noto nel quartiere  come “Shin-ei-kai”) un ex soldato che ha prestato servizio da infermiere durante la guerra, un altro uomo senza scrupoli di cui la ragazza si fa anche amante per potersi ritagliare uno spazio preminente e di comando.

Altro personaggio importante del racconto, è Doranya , un agitatore che per sostenere la necessità della restaurazione di un impero giapponese forte ed invincibile non esita ad instillare biecamente in giro l’oscura minaccia di un’ipotetica ma prossima invasione guerresca da parte dell’Unione Sovietica, che si imbranca per un breve periodo nella banda dei trafficanti di sangue, dalla quale si dissocerà però ben presto per divergenze economiche proprio con Hanako. Trovato il pieno appoggio di Shin ai suoi disegni, si assoceranno insieme per estromettere dal giro la ragazza che a sua volta per vendicarsi, non esita a chiedere aiuto alla banda dei giovani “protettori” del quartiere, entrando però presto in rotta di collisione anche con loro e portandosi dietro dentro analogo scompiglio e distruzione.

Le violenze e i tradimenti si susseguono a catena in questa pellicola terribilmente pessimista dove è davvero difficile trovare anche qualche labile segno di speranza e quasi tutto finisce in tragedia e dove forse la cosa più interessante è proprio la straordinaria vitalità della protagonista, la sua spudorata capacità di sopravvivenza che la porterà a percorrere molte vie prima del termine dell’opera per rimanere a galla e fare soldi, ivi compreso quella della prostituzione (Comprare sangue di giorno e venderti di notte – le dice uno degli altri personaggi della storia mentre la vede appostata in attesa di abbordare clienti – deve averti permesso di mettere da parte un bel gruzzolo…).

Si potrà quindi ben comprendere già da questi brevi cenni, che in quest’opera quasi d’esordio sono chiaramente percepibili, in perfetta sintonia per altro proprio con le dichiarazioni del regista riprese da un lontanissima intervista, molti dei temi e delle tendenze dei capolavori della maturità.

Non sorprende nemmeno che sull’intero film pesi l’ombra funesta della seconda guerra mondiale, ancora così a ridosso per ciò che di terribile era successo proprio in Giappone (nell’incendio finale dello slum, un vecchio osservando le rovine, commenta amaro che tutto è proprio uguale a come era alla fine della guerra).

Inoltre  il padre dell’”eroina “ della storia ha spesso atteggiamenti di fanatico militarismo e cerca addirittura di giustificare quell’essere a capo di una banda di robivecchi e ladri (ruolo utilizzato per poter realizzare i suoi loschi affari oltre che le sue imprese criminali, quale unico mezzo possibile e necessario non tanto per soddisfare i propri bisogni personali, quanto per riuscire a racimolare denaro sufficiente per ricominciare a combattere (lo stesso obiettivo di facciata che lo porta ad operare parallelamente nel giro del mercato nero, del sangue e dei certificati di nascita).

Il forte richiamo al passato pure presente, emerge invece dalla particolare scelta dell’ambientazione: il più grande slum del Giappone alla periferia di Osaka che era stato costruito quando l’imperatore che stava viaggiando alla volta di Hiroshima, espresse il desiderio di non voler vedere più alcuno slum sulla sua strada, il che determino la conseguente necessità di raggrupparli tutti in una sudicia prateria prossima alla città per non turbare ancora la sua vista.

Non sono però meno importanti i tratti realistici che traspaiono dal racconto, soprattutto in riferimento al mercato nero di sangue umano per scopi cosmetici che era una realtà largamente  consolidata nel paese.

La sua è dunque soprattutto la crudele descrizione dello squallido mondo dei bassifondi regolato da una specie di legge della giungla, per sopravvivere ad ogni costo e prevaricare gli altri dove si avverto molto forti sia i richiami al teatro politico di Brecht, che alle tematiche più estreme della poetica di Jean Genet. Quella che è straordinaria però è soprattutto la forma di un film spesso urlato ed eccessivo ma di forte impatto anche drammatico, dove i toni di un violento espressionismo “a colori” (il sole rosso-arancione che tramonta domina spesso lo schermo) esagitato fino al parossismo, si mischiano e si amalgamano con i moduli più classici e cupi del noir, il tutto sorretto da una lucidità stilistica di straordinaria pregnanza e uno strepitoso uso dei primi piani abbastanza insolito – almeno nella forma utilizzata da Oshima – per il cinema giapponese del periodo.

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