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La leggenda di Narayama

Regia di Keisuke Kinoshita vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La leggenda di Narayama

di ed wood
10 stelle

Suggestiva e riuscita commistione di tre diverse forme d'arte: la ballata popolare, il teatro kabuki, il cinema. "La leggenda di Narayama" non è teatro filmato, nè mera illustrazione di una storia cantata (splendido l'accompagnamento musicale con le tipiche dissonanze dello Shamisen), a differenza di quanto possa apparire di primo acchito. Non deve ingannare la bidimensionalità della messinscena, in verità smentita in diversi momenti, specialmente nella seconda parte. Kinoshita opera, con grazia e sapienza, una perfetta compensazione fra i diversi espedienti: dove non arrivano liriche e musica della ballata, sopraggiungono i gesti stilizzati del teatro kabuki; dove non arriva quest'ultimo, irrompe la pura forza filmica sprigionata da dettagli, intensi primi piani, carrelli e una creativa gestione dello spazio. Un film dal fascino ammaliante, inconsueto, ancestrale. Le scenografie di cartapesta ibridate ad esterni naturali (come nel "Mago di Oz" o nei musical classici hollywoodiani), le luci cangianti e stranianti (dominano il verde e il rosso), i surreali e "naif" cambi di scena (indotti ora da black-out, ora da fondali dipinti lasciati cadere e rivelare nuovi spazi, ora da arbusti ed altri oggetti scenici che si divaricano facendo strada allo sguardo della mdp) contribuiscono a delineare un immaginario evocativo come nelle più classiche favole, cosa rara nel cinema. Si ha la sensazione di essere tornati agli albori della Settima Arte, se non ad un passato remoto di un mondo a noi sconosciuto, forse mai esistito. Eppure non si ha mai la sensazione di "vecchio", "datato", "ingenuo" etc..."La leggenda di Narayama" è un film senza tempo, un unicum, un caso a se stante che travalica ogni categoria cinematografica. Il cinema è solo uno dei mezzi di supporto per mettere in scena un pezzo di cultura nipponica. E' un film-leggenda che abbina alle più arcaiche superstizioni (i 33 denti del Diavolo; la ricerca della Morte sul monte Narayama) la durezza e la mestizia di una vita grama (dove riso e fagioli sono pietanze preziose e ai vecchi è chiesto di farsi da parte a 70 anni). La forza di questa opera sta nella sua capacità di colmare la distanza "morale", indotta dalla crudeltà di un mondo favolistico aberrante, con un afflato gonfio di humanitas. Lo sguardo di Kinoshita è impotente, mai invadente, eppure compassionevole. Ogni volta che sopraggiunge un sentimento, ogni volta che i personaggi mettono a nudo il loro animo, ogni volta che si verifica una intima ribellione ad una vita da burattini, Kinoshita non esita ad infrangere il rigore contemplativo e bidimensionale, entrando nel vivo della scena, inserendo primi piani che mettono in risalto le psicologie dei personaggi, i loro pensieri, i loro tormenti, svelandone la nuda ed indifesa umanità. E le loro paure: come quella del vecchio che non vuole morire. E le loro bassezze: come quella del cinico nipote e della sua volgare fidanzata. E le loro fragilità: come quella del figlio che deve accompagnare la madre a morire, controvoglia, e le chiede disperatamente di dire almeno una parola. Nei suoi continui ripensamenti, nelle sue lacrime, nella sua disperazione c'è tutta la forza di una ritualità dissacrata, di un senso morale che necessariamente prevale su ogni assurda credenza, di una rottura degli argini, di un cinema (e di una realtà) che vogliono debordare dai confini angusti della favola (come testimoniano le ultime, documentaristiche inquadrature). E c'è, infine, la nobiltà del genere umano, di chi accetta la morte con coraggio. La sequenza della morte della vecchia, sotto la neve, in una desolata valle di scheletri ed avvoltoi, è indimenticabile: il punto esclamativo su questo film-mosaico, incessante spalancarsi di spazi e colori, struggente canto sul senso più profondo dell'esistenza.

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