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Vita di O-Haru, donna galante

Regia di Kenji Mizoguchi vedi scheda film

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La recensione su Vita di O-Haru, donna galante

di Peppe Comune
10 stelle

O-Haru (Kinuio Tanaka) è una cortigiana che si innamora di un uomo di rango inferiore (Toshiro Mifune). Ma questo non è assolutamente possibile nel Giappone feudale del diciassettesimo secolo così viene fatta allontanare dalla città di Kyoto insieme alla sua famiglia. Poi viene scelta per la sua bellezza dal ricco signore di Matsudaira (Toshiki Konoe) che, per garantire la continuità del suo casato, ha urgente bisogno di una concubina che gli dia un figlio. Fatto il suo dovere viene allontanata dal palazzo. Quindi viene rinnegata dal padre (Ichirô Sugai) e costretta a girovagare senza posa in uno spazio ostile.

 

http://www.claudiocolombo.net/FotoDVD/vitadioharu-1.jpg

O-Haru, donna galante - Kinuo Tanaka

 

In una società retta dalla protervia dei maschi, O-Haru assurge a simbolo della donna assolutamente assoggettata ai voleri dell'uomo, ai suoi umori e scatti emotivi, alla sua volontà di dare o togliere onori, dare o togliere dignità. O-Haru si degrada fino al più infimo grado della scala sociale per delle colpe che non ha commesso, per la sincerità dei suoi sentimenti. E' segnata a vita da una società retograda che non la lascia mai in pace, che la segue passo passo e la ricaccia sempre indietro a uno stato di miseria morale prima che materiale. Ma non è donna da perdere facilmente la sua innata dolcezza, la sua forte tempra morale. Da perfetta eroina della poetica di Mizoguchi, O-Haru è il coraggio di assecondare i propri sentimenti più puri laddove l'uomo è la codardia che si nasconde dietro la sua posizione di potere; O-Haru è la capacità di resistere alle avversità, di tirare avanti nonostante tutto laddove l'uomo è la pavida accondiscendenza a ruoli sociali sacralizzati dal tempo. In Mizoguchi è sempre presente questa dualità tra l'uomo e la donna che in questo film è resa ancora più marcata dalle immani sciagure esistenziali di cui è vittima O-Haru e dal fatto che in essa convivono, tanto la capacità di riemergere sempre dal baratro per mezzo della sua forza morale, quanto la necessità di  dover soccombere in una società gretta che alla donna sembra aver concesso come unico ruolo quello di soffrire in silenzio. Per Mizoguchi, la donna rappresenta sempre l'elemento che tende a equilibrare le storture prodotte dall'uomo e O-Haru, oltre a rappresentare il compendio della drammatica condizione della donna nel Giappone del seicento, raggruppa in se tutti quegl'ingredienti indispensabili per armonizzare nel giusto modo le vicende degli umani. Lunghi piani sequenza e discreti movimenti di macchina rappresentano la cifra stilistica di questa mirabile parabola sulle miserie umane. Mizoguchi segue le varie tappe del sofferto martirio di O-Haru senza cedere alle lusinghe di una facile spettacolarizzazione del dolore. L'assenza di retorica è pari alla secca essenzialità dell'eccezionale prova di Kinuyo Tanaka il cui volto intriso di dolente mestizia sfida le leggi dell'oblio. Qui si fa del cinema sfiorando le corde dello spirito e, anche se per noi occidentali non è sempre facile coglierne tutte le sfumature culturali, non si può non rimanere soggiogati dalla sua solenne bellezza.  

 

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