Regia di Kenji Mizoguchi vedi scheda film
Finalmente ho visto un film di Mizoguchi. Un po' prolisso per la verità, però molto espressivo. Anzitutto lascia il segno sia come toccante e compassionevole riflessione sul ruolo e sul destino della donna (nel Giappone feudale, così come in qualsiasi altro "sistema" che il genere umano sia stato capace di escogitare per "organizzare" l'esistenza delle persone), sia come profonda e meticolosa rappresentazione di un mondo, di un'epoca, di un'intera concezione della società. Stilisticamente, è lontano tanto dall'epica di Kurosawa quanto dall'ascetismo di Ozu, prediligendo lunghi e avvolgenti piani-sequenza perlustrativi, che ricordano forse Dreyer ma che sfruttano maggiormente la profondità di campo. La mdp si tiene sempre a debita distanza dal dolore dei personaggi, rispettosamente, evitando qualsiasi deriva espressionista: è come se il regista scrutasse da lontano, impotente, le peregrinazioni di un'eroina perennemente in cerca di un rifugio dal tormento di una felicità negata e dalla nausea di un ambiente meschino.
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