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Halloween. La notte delle streghe

Regia di John Carpenter vedi scheda film

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La recensione su Halloween. La notte delle streghe

di Arewenotmen
8 stelle

Non si può comprendere la Nuova Hollywood senza Carpenter, Lynch, Cronenberg, Romero, e ciò che li accomuna. Questi cinque grandi autori furono debitori di Bergman, e furono in un certo senso molto più europei dei coevi Coppola e Scorsese che pure dichiaratamente si ispiravano al neorealismo italiano, Nouvelle Vague e quant'altro. Furono europei nella maniera in cui Ghezzi descrive l'anima europea di Kubrick, ossia nell'ignorare in maniera rozza, anarchica e spregiudicata i topoi del genere e con essi le esigenze di divertissement. Per questo il loro cinema è bergmaniano, la loro messa in scena un imbuto dove una serie finita di elementi converge in maniera inesorabile. Il loro non è un cinema ispirato, non vuole presupporre alcun discorso implicito con il pubblico. In Kubrick c'era questo ma c'era anche l'anima del divertissement, per questo Kubrick si potrebbe vedere come un Lynch borghese, come un Dickens dove loro sono dei Balzac. Ma ciò non lo rende inferiore, Kubrick voleva svellere il cinema americano dall'interno, fece quello che Dante fece allo Stilnovo...

 

Carpenter, appunto, distrugge il presupposto. Non è un caso che come Romero il presupposto sia arrivato a inventarlo, qui lo slasher, là gli zombie. Questo film vive dello iato tra aspettativa e messa in scena minimale. Si inizia con un Donald Pleasance che descrive in maniera biblica il male puro, e ciò a cui si arriva sono alcune coltellate. È come Carpenter riempie quello che sta in mezzo che funziona. Il dottor Loomis non fa nulla per tutto il film (tipico di Carpenter ridurre i personaggi al minimo indispensabile per l'economia della trama), lo spettatore vive in Loomis, Carpenter ci conduce in una dimensione oscura, una prospettiva diversa da quella della maggior parte dei personaggi. A tu per tu con il mostro, in un'intimità silenziosa e oscena. 

 

Trovo che il piano sequenza iniziale sia frainteso in questo senso. Non è un effetto a sorpresa, la soggettiva è palesemente quella di un bambino e si capisce subito. Quando la maschera viene tolta viene svelato l'ovvio e qui sta il concetto. Noi abbiamo sempre saputo che si trattava un bambino, a quel punto non ci viene svelato niente, invece constatiamo l'ignoranza e la sua brusca perdita nei personaggi, e prendiamo atto dunque dell'intimità che si era creata fino ad allora con il mostro. Vediamo la sorpresa negli occhi di chi la vede, il coinvolgimento è dato da uno scarto cognitivo con i personaggi. Non è solo un imparare da Hitchcock, è un passo oltre. 

 

Jamie Lee Cursti colpisce davvero. Mai più sarà così triste e seria, il suo personaggio è diretto come se volesse ispirare una innocenza castissima ma non puritana, di un'umanità dolente e consapevole. Appunto, consapevole come lo spettatore nella soggettiva. 

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