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Fino all'ultimo respiro

Regia di Jean-Luc Godard vedi scheda film

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Viola96

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La recensione su Fino all'ultimo respiro

di Viola96
10 stelle

- Conosci William Faulkner?
- No, chi è? Sei stata a letto con lui?
- No, ma cosa dici! 
- Allora me ne frego, togliti la camicetta.
- E' un romanziere che mi piace molto, hai letto "Palme Selvagge"?
- Ti ho detto no, dai togliti la camicetta.
- L'ultima frase è molto bella: Tra il nulla e il dolore, io scelgo il dolore. Tu che cosa sceglieresti? (...)
- Il dolore è idiota. Io scelgo il nulla, non è meglio, ma..il dolore è un compromesso. O tutto, o niente.
 
Anarchico, rivoluzionario, graffiante, l’esordio cinematografico di Jean-Luc Godard fu un’opera fondamentale per la formazione del suo autore e per il cinema francese di lì a venire. Infatti, è considerato un tassello imprescindibile da cui cominciare per scoprire la Nouvelle Vogue, posizionando Godard come uno dei migliori autori di quest’ultima, insieme a Resnais e Truffaut. Il primo Godard è un pochino lontano dalle provocazioni filosofiche dei suoi migliori film (Je vous salue, Marie! e Due o tre cose che so di lei), ed è una riflessione e una sfida. Una riflessione in quanto Godard da una trama semplice da thriller riesce a ricavare un intreccio romantico elegante e interessante, producendo una coppia che filtra l’amore e l’odio semplice per rimanere nell’immaginario collettivo. Belmondo è praticamente perfetto, in quella che, credo, sia la sua miglior parte di sempre, ponendosi come la controparte francese di quello che faceva in America un Humprey Bogart: l’eroe bello e impavido. Una sfida, poiché, nonostante questa sia solo la sua opera prima, Godard aveva già in mente di riformare completamente il modo di vedere il cinema. Ponendosi in totale anarchia dalla produzione, stimolava la libertà di espressione, rovesciando il naturale tecnicismo del cinema tradizionale, creando effettivamente qualcosa di nuovo. Questa è una cosa che viene ammessa anche dai (tanti) detrattori di Godard: appunto gli viene riconosciuto il merito di essere stato uno dei pochissimi cineasti a inventare effettivamente qualcosa di nuovo. Si vede tutta la Nouvelle Vogue che verrà in ogni inquadratura di Fino all’ultimo respiro: altra novità apportata è il non uso del cavalletto e il non uso delle carrellate con binari. Anche questo contribuisce in modo determinante al far vedere qualcosa di diverso allo spettatore, che si trova davanti ad una storia che di innovativo ha poco o niente, vista però da un altro punto di vista. Come se l’autore fosse in grado di spostare il cervello di ognuno in modo da far intendere la normalità del cinema come novità, dove novità effettivamente c’è, anche se la differenza col passato e col futuro prossimo non è certamente alta, anzi. Segna uno spacco, questo sì. Già l’anno prima dell’uscita di questo film, cioè nel 1959, erano venuti alla luce altri due testi sacri della Nouvelle Vogue, quali Hiroshima Mon Amour e I quattrocento colpi, due capolavori che anch’essi segnano un qualcosa di rivoluzionario nel cinema tradizionale, anche essi segnano uno spacco, ma non ampio quanto quello che ci pone davanti Godard: è cinema anarchico, cinema senza regole. Cinema rivoluzionario, mentre quello di Resnais e Truffaut è “solo” riformista. Una nota meritano i due personaggi principali del film: è una coppia tipica nella sua atipicità. Netta la componente beat dei due protagonisti, che sono sicuramente prodotti della corrente culturale denominata appunto beat generation. Ma a differenza del loro autore non sono davvero rivoluzionari come vorrebbero apparire, poiché non cedono completamente alla bellezza, al piacere, all’amore. Belmondo è un personaggio sopra le righe, completamente perso, lunatico. I dialoghi con la Seberg sono da antologia. Non è un film giallo, un noir, un thriller, anche se ne ha tutte le componenti. Un uomo uccide un poliziotto e comincia una fuga con una studentessa di cui è innamorato, che però a un certo punto decide di tradirlo. Ma non è un film giallo: si respira tutta un’altra aria. Oltre al gioco visivo che ha fatto grande nei secoli Godard, tutto, dalla colonna sonora alle citazioni sparse per tutta l’opera, riesce a far pensare ad un mix forte, deciso, pungente. E’ anche un film psicologico: Godard dà l’immagine chiara della mente a tratti perversa dei due protagonisti, non in maniera onirica, bensì paurosamente reale. E chi sono, dunque, oggi, a distanza di più di 50 anni, Jean Paul Belmondo e Jean Seberg? Due che hanno scelto il dolore o il nulla? 
 

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