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Confidenze troppo intime

Regia di Patrice Leconte vedi scheda film

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La recensione su Confidenze troppo intime

di Mr.Klein
8 stelle

Il caso può essere ribattezzato destino imprudente,fino a quando non ne scopriamo il beneficio in un primo momento inavvertibile e sentiamo nei suoi confronti la gratitudine per aver finalmente alterato quell’equilibrio cui non vogliamo dare la definizione più consona di vigliacca abitudinarietà.Il piccolo miracolo di un altro equilibrio più rischioso,quello della novità,di cui avvertiamo l’impatto quando la componete scherzosa sembra voler scomparire già al secondo incontro,è quello su cui si arrampica con fiducia guardinga  per ciò che troverà sulla cima il trattato sentimentale in prosa cinematografica di Patrice Leconte.Cinèma de papa o cinema schiettamente borghese che sia,Confidenze troppo intime non dimentica la lezione del sottostimato Claude Sautet e ne ravviva la memoria attutendone la gioviale convivialità grazie ai suggerimenti della contemporanea nevrosi,in cui l’impazienza di abbandonarsi all’intimità,appunto,di riconoscersi  e conoscersi dopo un apparente errore di indirizzo(errore reclamato dal cuore)si armonizza in un linguaggio prima bizzarro e poi commosso,inquietante e sbalordito,riuscendo a comunicare senza sentenziare il gioco di prestigio con cui la vita sceglie di esercitarsi sui destini e le conseguenti avventure e disavventure umane.Conversazione di due soggezioni che tentano e ottengono le proprie reciproche confessioni scoprendo il piacere di non sentirsi interrotte,unione timorosa di due voci che vivono a modo loro le proprie solitudini Confidenze troppo intime è un delicato accerchiamento a favore dello spettatore su cui la sceneggiatura di Tonnére distribuisce  con un’omogenea screziatura di colori caldamente autunnali gli indizi di tutta una serie di generi cinematografici e letterari ( a dimostrazione che l’ispirazione letteraria e non la letteratura che entra a gamba tesa nel cinema fa tanto bene al cinema) di cui adotta la specificità psicologica,la riconoscibilità del fraseggio senza genuflettersi ad una scelta definitiva.Che sia il dramma da camera o la commedia sentimentale francese,il thriller dei sentimenti o addirittura il giallo(di cui seleziona gli elementi più ricorrenti del percorso per trarne una garbata quasi-parodia),il genere in sé viene deviato  per dilatare il bisogno di essere un comprensibile insieme dei vocaboli della condivisione della condizione umana,in cui tutto è narrato e quasi tutto avviene fuori campo,per non sconfinare mai nella dimostrazione e mai per un solo istante,per virtù di regia e calibro di recitazione,per ottenere l’effetto del teatro filmato.Affidato alla parola e alle incertezze con cui la adoperiamo,il fil  film di Leconte ricama senza ambiguità sull’evoluzione di un rapporto fatto di ombre che si assottigliano fino a farsi da parte per lasciare che entrino in pieno le luci della solidarietà;e non specula sul convenzionale ribaltamento di ruoli in cui il soccorritore(per giunta inconsapevole,ma sempre più compreso in un impegno pur così distante dal suo consueto)diventa il primo ad aver bisogno di aiuto;o sulla personalità femminile fragile e vagabonda,in realtà fortissima per attitudine ma non per autostima,che può diventare dolcemente predatrice.Intorno a loro si appostano caratteristi tra cui è giusto menzionare la compagna di saltuarie crudeltà amorose Anne Brochet;e nella sua antica femminilità la segretaria di sguardi allenati come la sua saggezza Helene Surgère.Proprio perché,come detto prima,si avvicina a diversi generi senza sceglierne del tutto nessuno,Confidenze troppo intime si dirige lentamente verso una quadratura del cerchio di antiretorico ottimismo che nulla ha a che vedere con il lieto fine;e,spegnendo le luci dello spettacolo e congedando la necessità dell’apporto sonoro su quelle nuove rivelazione di cui non possiamo né dobbiamo ascoltare nulla,lascia capire fuor di metafora che i rapporti umani,tutti ma soprattutto quelli tra adulti,si rafforzano grazie alla libera partecipazione di cui non dobbiamo prevedere l’esito o forzare la riuscita,ma casomai conquistarne il piacere della costanza mentre si espongono nella qualità estemporanea della loro richiesta di essere vissuti nel presente.Orchestrato con la regolarità del canto e controcanto appoggiato sulla grazia del tocco,possiede l’avveduta gentilezza della seduzione non servizievole e il rigore drammatico che guarda da lontano la tragedia,riuscendo ad essere tonificante per la l’igiene psicologica dello spettatore assiduo come pure per quella del casuale visitatore di una proposta su celluloide.

Su Patrice Leconte

Priva di apprensione e assillo espositivo,supportata da una sceneggiatura di seria conoscenza dei tempi della curiosità sentimentale,la regia di Leconte si avvicina ai personaggi ampliandone e chiarendone l’esperienza della solitudine,rilassata nei movimenti tutti concentrati sulle sottrazioni e sulle loro rivelazioni,accorciando una frase per evitare che si affacci il lirismo della storia d’amore e la rima che  ne disperde l’efficacia.

Su Sandrine Bonnaire

Grazie ai mezzitoni e alle composte invocazioni d’aiuto e perdono della sua vittima d’amore,la splendida Bonnaire avanza e arretra con grazia ora luminosa ora sciupata verso la ribellione all’eterna pausa sentimentale di un sonno emotivo scambiato per dedizione e fedeltà insoddisfacenti.

Su Fabrice Luchini

Un impagabile “uomo normale” reso con timida gratitudine,disturbato all’inizio dallo squilibrio morale offertogli da un’imprevedibile compagna di confessioni ma in seguito sempre più certo di averne davvero bisogno.

Su Michel Duchaussoy

Significativa partecipazione che fornisce la misura e l’utilità del supporti di una mente illuminata,alla quale Duchaussoy conferisce una lungimiranza che ogni tanto censura un sorriso.

Su Anne Brochet

Più vissuta e scavata di Bonnaire,molto lontana dalla soave Rossana del Cyrano,ha il volto di chi recupera in una condizione di perpetuo scetticismo tutti le ipotesi di una delusione prossima a venire.

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