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The Wicker Man

Regia di Robin Hardy vedi scheda film

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Utente rimosso (PoorYorick)

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Wicker Man

di Utente rimosso (PoorYorick)
8 stelle

The Wicker Man è un film del 1973, scritto da Anthony Shaffer e diretto da Robin Hardy. Se Shaffer ha avuto, al di là de “L’uomo di vimini”, una carriera di drammaturgo e di sceneggiatore validissima, avendo sceneggiato altre opere di indubbio valore, su tutte il magnifico “Sleuth” di Joseph L. Mankievicz, tratto da una sua opera teatrale, analoga fortuna non è toccata a Robin Hardy. “The wicker man” è stato l’unico, indimenticabile sussulto di una carriera che, per il resto, vanta la miseria di soli altri due film, di cui l’ultimo, “The wicker tree”, del 2011, rappresenta il forse improvvido tentativo di rincorrere il successo di 38 anni prima. Sul film in questione non posso esprimermi, non avendolo ancora visto (lo farò, se non altro per curiosità), ma ho come la sensazione che certi registi abbiano la condanna di venir baciati una sola volta, nella loro vita, dal dio del cinema.

Il più grande pregio del film è aver saputo unire, con una maestria che è merce sempre più rara al giorno d’oggi, una spietata e disarmante critica sociale ad un film che, per il resto, reputo uno degli horror al contempo più terrificanti e più particolari che abbia mai avuto il piacere di vedere.

Innanzitutto ci immerge in un’atmosfera in cui è la luce a farla da padrone (e qui un plauso è da fare alla meravigliosa fotografia del film), contravvenendo agli stilemi classici di quasi tutto il cinema horror, per cui l’orrore si nasconde nelle pieghe del buio. Ogni cosa, qui, avviene, letteralmente, alla luce del sole; le persone non si nascondono per fare sesso, perché lo fanno liberamente su di un prato, all’aria aperta. Questo crea una sensazione di ambiguità e di straniamento, dovuta al fatto che, nonostante le persone di questo luogo appaiano libere da qualsiasi convenzione, e soprattutto felici, non è così che ci sentiamo noi. Noi non avvertiamo una sensazione di libertà (che sarebbe naturale provare in quel contesto), bensì di soffocamento. Ciò avviene perché guardiamo Summerisle con gli occhi del sergente Howie, il quale non si sente libero e sicuro neanche chiuso a chiave nella camera della locanda dove alloggia. La sensazione di essere pedinati e spiati accompagnerà Howie durante tutto il suo peregrinare sull’isola, e non ci lascerà neanche per un secondo.

“The Wicker Man” un film in definitiva unico nel suo genere, che merita di essere visto da tutti coloro che cercano originalità in un genere fin troppo appiattitosi negli ultimi tempi. Il film è infatti una sorta di horror/musical folk, visto che, come fulmini a ciel sereno, capita che i personaggi si mettano a cantare inquietantissime canzoncine infantili e filastrocche sconce. Tutto ciò non farà altro che aumentare, ovviamente, l’atmosfera delirante di cui il film è già pervaso, portandovi a vivere un’esperienza cinematografica che non dimenticherete tanto presto.

La colonna sonora è davvero uno dei punti di forza del film. Oltre agli inserti musical saranno le splendide melodie celtiche composte da Paul Giovanni a tenervi compagnia nel vostro soggiorno a Summerisle.

Il sergente Howie, rappresentante simbolico di una religione che per secoli ha perseguitato ed annientato, con lucida freddezza, ogni diversità, ogni deviazione dalla normalità, si trova, per la prima volta, alla resa dei conti, ad essere lui il “diverso”, lui il “deviato”. Quando sta per essere portato all’interno dell’uomo di vimini, Howie grida agli isolani che no, non sarà grazie al suo sacrificio che otterranno un raccolto abbondante il prossimo anno; grida che quelle divinità che loro venerano in realtà non si interessano a loro, che sono indifferenti alle loro sorti; che l’abbondanza degli anni passati è stata solo un caso, non certo un dono di qualche entità soprannaturale; e la carestia di quell’anno una sfortuna, e non una punizione divina.

In pochi secondi distrugge, inconsapevolmente, le fondamenta di una vita passata ugualmente ad ubbidire ai comandi di un Dio, seppur diverso, nel terrore di una punizione incombente. Da come il personaggio viene tratteggiato nel corso del film noi sappiamo che anche per lui il rapporto con la divinità non è stato portatore solo di serenità e pace interiore, traguardi a cui aspirare legittimamente, ma che ha comportato, ugualmente, gravosi obblighi da rispettare, al costo di mortificare la propria carne, di annientare i propri impulsi naturali. Una repressione del corpo e dell’anima che lo ha reso, in definitiva, una persona chiusa e intollerante, incapace se non di capire, almeno di accettare l’altro da sé.

Le sue ultime parole sono dunque un disperato appello alla razionalità e all’umana ragione, ma sono rivolte ad una comunità che non può sentirlo, perché il processo di “de-umanizzazione” di Howie è stato ormai compiuto. Quando non si scorge più l’umanità negli occhi dell’altro, è allora che è la fine di tutto. E’ allora che diventano possibili i peggiori massacri.

Il sacrificio umano, in ogni sua variante e in ogni epoca, viene tollerato ed anzi, accettato di buon grado, quando la vittima perde i suoi connotati di umanità.

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