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Il ferroviere

Regia di Pietro Germi vedi scheda film

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FABIO1971

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La recensione su Il ferroviere

di FABIO1971
8 stelle

"I sindacati... Buoni i sindacati, te li raccomando i sindacati, buoni solo a riempirti la testa di chiacchiere e a pigliarti i soldi, coi loro giornali pieni di belle parole, giustizia, i diritti del lavoratore, vent'anni di belle parole... Prima ce le dicevamo di nascosto all'orecchio, d'inverno ci si scaldava con le belle parole, quando in casa non c'era neanche un truciolo per la stufa e noi a parlare di giustizia. E intanto i dritti pigliavano la tessera e facevano carriera...".
[Pietro Germi agli amici dell'osteria]

La battuta citata è estratta da un dialogo cruciale di Il ferroviere, decima regia di Pietro Germi: cruciale non tanto nell'economia drammaturgica del film (perchè il senso, attraverso le evoluzioni della vicenda, viene comunque ribadito spesso nell'arco della narrazione), quanto perchè esemplificativa delle posizioni politiche del regista genovese, socialdemocratico e antifascista, e snodo cruciale dei suoi controversi rapporti con la critica italiana di sinistra dell'epoca (essenzialmente il gruppo di Cinema Nuovo). Agli operai di Germi, definiti da Umberto Barbaro "metodici e abitudinari come piccoli borghesi", infatti, viene imputata la scarsa aderenza alla realtà sociale, l'arrancare su posizioni storicamente sorpassate, l'assenza di una vera e propria coscienza di classe (precisamente, nelle parole di Guido Aristarco, "dei doveri politici, sociali e morali del lavoratore") e bisognerà attendere più di un decennio affinchè (nonostante, ovviamente, alcune voci fuori dal coro) l'annosa querelle giunga al termine. Il ferroviere nasce da un'idea di Alfredo Giannetti, autore anche della sceneggiatura insieme a Germi e Luciano Vincenzoni (script poi revisionato da Ennio De Concini e Carlo Musso): è un melodramma malinconico ed accorato, uno sguardo sofferto sulle miserie intime e sociali di una generazione uscita dalla guerra e che faticava a districarsi nel mondo del lavoro e tra le pareti domestiche. Andrea Marcocci (Pietro Germi) è un ferroviere alcolizzato che trascura la famiglia e si ritrova coinvolto in un incidente mortale sul lavoro: nella stessa giornata, infatti, prima un uomo si getta sotto al treno da lui condotto, poi lui stesso, scosso dall'accaduto, non si accorge di un semaforo rosso rischiando di schiantarsi contro un altro treno in transito. Schiavo della bottiglia e divorato dai sensi di colpa, Andrea non si rende conto che la sua vita e quella dei suoi familiari stanno andando in pezzi e, tra due vigilie di Natale, si consumerà la sua tragica parabola, rievocata dalla voce fuori campo del figlio Sandrino (uno straordinario Edoardo Nevola). Tra scioperi e aspre rivendicazioni sindacali Germi dipinge con toni appassionati il ritratto di un operaio-crumiro, sfumandone i tratti più culturalmente stereotipati proprio per affrancarlo da una caratterizzazione esclusivamente ideologica ed immergerlo nella controversa e mutevole realtà del tempo (fondamentale, in questo senso, il trapasso del protagonista dal proprio individualismo e dalle sue ambizioni alla consapevolezza della loro inutilità di fronte alla realtà della vita che gli si è prospettata). Non solo: Germi evita la retorica del sentimentalismo a buon mercato con i rabbiosi ed improvvisi sussulti drammatici della narrazione, lascia parlare (e, nel caso del suo Andrea Marcocci, anche sproloquiare) i suoi personaggi per avvicinarli ancor di più, attraverso il taglio neorealista del racconto, al suo pubblico (che, infatti, accorse in massa), compone con preziosa cura formale (magnifiche la fotografia di Leonida Barboni e la colonna sonora di Carlo Rustichelli) alcune sequenze di straordinaria suggestione (lo pseudo-moralismo del pre-finale, orchestrato da uno struggente crescendo di disperazione, con i figli e gli amici che finalmente si riavvicinano al protagonista), si contorna di un cast d'interpreti, da lui stesso capeggiati con sanguigna irruenza, che lo assecondano con efficacia (da Sylva Koscina a Saro Urzì e Carlo Giuffrè) stemperando gli umori più vibranti nella tenerezza di gesti intimi e dolenti. Nonostante le inevitabili imperfezioni, resta ancora oggi una delle opere piu incisive e vitali del suo autore.

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