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The Manchurian Candidate

Regia di Jonathan Demme vedi scheda film

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La recensione su The Manchurian Candidate

di FilmTv Rivista
6 stelle

Il primo film tratto dal romanzo di Richard Condon, Va’ e uccidi di John Frankenheimer, nel 1962 venne considerato di “fantapolitica”, anche se almeno una delle sue “premonizioni” si avverò di lì a pochi mesi: l’assassinio di un uomo politico sul palco delle celebrazioni, che anticipava quello di John Fitzgerald Kennedy. Era un film nevrotico e surreale, con almeno un’intuizione geniale (i ricordi manipolati del gruppo di reduci dalla Corea sottoposti al lavaggio del cervello) e un andamento compresso e disperato che fotografava già allora, ben prima dei fatidici anni ’70, la paranoia americana. The Manchurian Candidate di Jonathan Demme è uno dei rari remake degli ultimi anni che non lascia perplessi né per modernità tematica né per intelligenza dell’adattamento. Gli sceneggiatori Daniel Pyne e Dean Georgaris hanno lavorato a partire dal romanzo e dalla sceneggiatura originale di George Axelrod, sintetizzando certi passaggi narrativi (il personaggio del “candidato” che diventa tutt’uno con quello del killer), modernizzandone altri (la storia d’amore repressa tra Raymond e Jocelyn; la madre che non si limita a tramare dietro le quinte, ma è lei stessa un personaggio politico), dilatando il tema del controllo a un’inquietante dimensione globale. Alla costruzione soffocante della tensione, alla materializzazione di quella paranoia che, dai tempi della guerra fredda, sembra non aver mai abbandonato la scena politica americana, ma essere anzi dilagata nella vita quotidiana, ci pensa la regia di Demme, forse l’autore americano contemporaneo più sensibile (anche quando si dedica alla commedia) a questa paura “fisica” e generalizzata che corrode la vita, la mente, i comportamenti. Per istinto un regista del subconscio, che concretizza mostri dietro la porta di casa, Demme lavora di montaggio alternato, di sguardi intrecciati, di buchi che vanno a poco a poco colmandosi; ma mai e poi mai arriverà a rassicurarci sul nostro futuro. Non un film “elettorale”, né consolatorio, e molto meno fantasioso di quanto si poteva supporre fosse (ma non era) l’originale, con tre attori magnifici (Washington, Schreiber, Meryl Streep, tanto grande da non far rimpiangere la stupefacente Angela Lansbury della prima versione) e un’amarissima consapevolezza della realtà. Come sempre, cameo di Roger Corman, nella parte del segretario di Stato.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 47 del 2004

Autore: Emanuela Martini

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