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Collateral

Regia di Michael Mann vedi scheda film

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La recensione su Collateral

di giancarlo visitilli
8 stelle

Nessun dubbio: andare al cinema per vedere un bellissimo film come Collateral, ne vale certamente la pena. Anzi, questo è un altro film di Michael Mann (Insider, Heat – La sfida, L’ultimo dei Mohicani), che conferma la sua già autorevole regia. Collateral è stato presentato in anteprima nazionale alla 61a Mostra del Cinema di Venezia.
Si tratta di un thriller metropolitano, con percorsi strutturali che vanno dall’action e che percorrono addirittura le filosofiche orientali. Sconcertante dal punto di vista stilistico, narrativo e dell’immagine. Nessun regista finora è stato capace di coniugare l’uso del digitale e della camera a mano attraverso una storia d’impianto apparentemente tradizionale e una sceneggiatura intrigante.
Se a tutto ciò si aggiunge il lavoro sugli attori, con un Tom Cruise dai capelli brizzolati, come il suo stesso abito grigio perla, pistola grigia acciaio, invecchiato, ma mai così determinato, senz’altro si può affermare che Collateral è un film importante per la storia del cinema di quest’ultimo decennio.
L’incipit del film è affidato al dio Caso: una notte qualsiasi, nel luogo e nel momento sbagliato, diventano fatali, cambieranno la vita a più persone. Come accade a Max, tassista sognatore per le vie di una metropoli come L.A.. S’imbatte in un cliente del tutto diverso dagli altri, che lo trascinerà in un incubo, la cui durata sarà quella interminabile dal ‘tramonto all’alba’. In questo stato di apparente solitudine, Vincent dovrà portare a termine la sua ‘mission impossible’ e Max, suo malgrado, sarà costretto ad accompagnarlo. I due uomini coabiteranno nello spazio angusto e claustrofobico di un taxi. All’interno dell’abitacolo (una sorta di ossimoro rispetto alla grande città di L.A., anonima) i due devono conoscersi, per poter sopravvivere.
Il tema dell’eroe solitario, sconfitto sul suo stesso terreno di gioco, è un tema caro a Mann, già affrontato nei suoi precedenti film, anche se in questo caso lo porta a livelli certamente più complessi, ribaltando la figura mitologica dell’eroe e trasformandola in un uomo in carne ed ossa.
Quale personificazione migliore si può assurgere, attraverso il personaggio interpretato da Tom Cruise, se non quello dell’americano che ha un compito ben preciso: sterminare e affrontare tale missione a testa alta. E’ quello dell’american dream. Non ci vuole mica solo Michael Moore per fare alcuni conti e accorgersi che “due più due fa quattro”, che chi ha un compito di responsabilità in un paese come l’America deve poter guerreggiare contro il mondo, anche a costo dei danni collaterali, che poi constano nei milioni di morti di vite umane. E chi altri vogliamo che sia Max il tassista, che deve fare i conti con i fantasmi del proprio passato, se non l’americano pavido a causa di una situazione invivibile, post 11 settembre? A tal proposito Vincent e Max appaiono come due naufraghi e la storia di Michael Mann come quella di “Racconti di un naufrago” di Marquetz.
Fra l’altro: quanti film abbiamo visto, che hanno raccontato le megalopoli postmoderne? Ma pochissimi sono quelli che son riusciti a farlo alla maniera di Collateral. Michael Mann resta decisamente il miglior regista statunitense. La perfezione, specie nelle scene d’azione, con una camera che s’insinua, le ampiezze e la profondità, sono un qualcosa di sconvolgente. Bastano, per notare ciò, solamente le due sequenze girate, l’una all’interno del locale cinese, con la gente che continua a ballare a lungo prima di accorgersi di quanto accade, e l’altra nell’ufficio pieno di specchi. Memorabili. Insieme ad una fotografia raffinata (Dion Beebe e Paul Cameron) e ad una colonna sonora, jazzisticamente suggestiva e notturna, Mann non dà nulla per scontato. Anche la sua perfezione nell’uso della tecnica più all’avanguardia gli serve per esplorare nuove possibilità della visione e non semplicemente per fare giochi sperimentali e fini a se stessi. Collateral è una lezione di stile, oltre che di tecnica registica per chi oggi (in modo veramente improprio ed abusato) fa uso delle potenzialità digitali. Mann è stato il primo ad utilizzare la macchina da presa Thomson Grass Valley Viper Film Stream, modificata per ritrarre Los Angeles nelle ore che vanno ‘dal tramonto all’alba’.
Il film si chiude con lo stesso emblematico Caso, che sovrasta sulla città degli angeli, laddove anche se uno muore “nessuno se ne accorge, fra diciassette milioni di persone”. Questa è Los Angeles, molto simile a centinaia di migliaia di città, dal Sud America al Medio Orinete, passando per l’Africa, in cui ogni giorno cadono angeli, che a volte non hanno neanche preso il volo.
Giancarlo Visitilli

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