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Collateral

Regia di Michael Mann vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Collateral

di Inside man
9 stelle

La parte più felice di Collateral è il lungo brano che ha inizio dall’uscita di Max (Jamie Foxx) dal locale El Rodeo, dove ha appena incontrato Felix (Bardem), e termina con l'incidente automobilistico nel pre-finale.
Un film nel film da estrapolare ed esaminare accuratamente nella sua composizione a tre fasi (idealmente racchiuse da due passaggi di “Shadow on the sun” degli Audioslave): il prologo di preparazione, il culmine con la sparatoria in discoteca, l’epilogo del cappottamento. E’ altresì una dimostrazione da manuale dell’azione innovativa svolta da Michael Mann sul moderno linguaggio cinematografico; l’autore americano infatti, volge tutte le scelte tecnico-formali alla strutturazione di un pathos emotivo dall’andamento ritmico, impostando le sequenze in funzione di un continuo andare e venire della tensione, un’oscillazione ciclica e fluida in diminuendo e in crescendo, che tocca il punto più basso nella memorabile pausa sospensiva dell'attraversamento stradale del coyote e l’apice nell’glaciale retro-front di Vincent (Tom Cruise) dopo l'esecuzione del gangster Peter Lin. Il tutto è raccordato da scansioni narrative improvvise eppure organiche e scorrevoli, grazie al sapiente utilizzo del sonoro (musica ed effetti) ed alla fondamentale combinazione di varie soluzioni di montaggio.
Nella prima fase la progressione si innesca con il ritmo dei dialoghi, l’abile transizione diegetica dell’intreccio (cinque i gruppi coinvolti fra cui l’FBI erroneamente alla caccia di Max che a sua volta ha appena dovuto recuperare le informazioni perdute in seguito alla distruzione del notebook), l’ennesima splendida fotografia “manniana”, pronta a fornire l’istantanea iperrealista di una Los Angeles notturna e deserta, sospesa e surreale, quasi onirica, preparata ad avvolgere come un guanto, con le sue luci e i suoi viali illuminati, la fatale corsa del taxi.
Nella seconda (davvero straordinaria) il compito decisivo lo gioca il rapidissimo montaggio alternato fra le cinque “zone di influenza” destinate ad incontrarsi e respingersi in un movimento caotico ed elettrizzante. Mann è eccezionale nel dirigere e governare queste “entità” di individui singoli o in gruppo: Vincent; Max a cui si unisce il poliziotto Fanning (Ruffalo); gli agenti dell’FBI; l’asiatico Lin e le sue guardie del corpo; i sicari inviati da Felix. La stupenda ”Ready steady go” di Oakenfold detta le cadenze e funge da amplificatore frenetico dell’imminente catarsi, e non secondario è l’ausilio combinato di prestanza fisica e imperturbabile autocontrollo di cui è intriso il personaggio di Cruise (senza dimenticare che mai prima dell’avvento di Mann si erano visti conflitti a fuoco dotati di un taglio così particolare, basti segnalare la sparatoria nel traffico di Heat).
Nel terzo frammento infine, si vira su un versante psicologico (rispetto al precedente segmento action) e durante il redde rationem in auto la tensione, scesa perentoriamente dopo l'uccisione di Fanning, riceve nuovo impulso dalle prove d’attore (qui Jamie Foxx dà il meglio), dal meticoloso assetto dei tempi interni all’inquadratura, dall’apporto della sceneggiatura.
Lo scambio di battute in bilico fra cinema classico e moderno, diventa un affascinante gioco di “falsi-controcampi” frontali, in cui Mann rielabora da par suo il match di sguardi allo specchietto di Taxi driveriana memoria, dando la misura, come nel modello scorsesiano, del bisogno di entrambi gli interlocutori di un filtro protettivo dal contatto con il prossimo, il mondo esterno, il proprio io (un filtro che di lì a breve Max spezzerà: “sai che ti dico, ho buone notizie…”).
Si giunge così alla cesura definitiva del racconto, con il “punto di rottura” di Max, l’acquisizione di una forza preponderante, la ribellione al giogo del killer (d’ora in poi prenderà di fatto il sopravvento anticipando e contrastando metodicamente  le azioni di Vincent). Quest’ultimo al contrario si avvierà verso una dipartita solitaria in un metrò diretto verso il nulla così come dal nulla era venuto (spiazzante e suggestivo il rimando a Ozu). Vincent è un vilain carismatico, di evidente provenienza melvilliana (J.P.M.), senza un passato e un futuro, votato asetticamente ad una "professione"  trascendentalmente unica custode dei suoi principi “etici” (essenziali quanto primitivi) e in nome della quale manifesterà le sole reazioni veementi, passionali. Approssimandosi al fallimento sul “lavoro” comincerà a perdere simbioticamente la sua destrezza, dopo aver paradossalmente esibito il massimo d’efficienza e spietata determinazione al Fever. La sua eliminazione per mano di una persona comune, la più “agevole” fra le vittime designate di quella notte, può però ragionevolmente entrare in una disquisizione sulla credibilità di un esito invero assai poco convincente.
In ogni caso prima di una chiusura piuttosto ordinaria, il suddetto brano, per l’andamento del pathos (in armonico equilibrio fra accelerazioni e pause), per la combinazione delle forme linguistiche e la splendida resa figurativa, rappresenta una delle migliori espressioni del recente iperrealismo cinematografico, un’autentica sinfonia della settima arte.

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