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Rushmore

Regia di Wes Anderson vedi scheda film

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La recensione su Rushmore

di supadany
8 stelle

Secondo lungometraggio per Wes Anderson che mette in mostra, con precoce consapevolezza, quella che sarà poi la sua (sempre più straripante) poetica, il suo indirizzamento verso una tipologia di cinema fuori dal comune intendimento che lo ha reso un autore discusso, ma per lo più apprezzato.

Max Fischer (Jason Schwartzman) è un po’ un tuttofare nella scuola privata di Rushmore, peccato che il grande impegno profuso nelle attività collaterali non vada di pari passo con i risultati scolastici.

Questo precario equilibrio subisce il definitivo collasso quando nella scuola arriva la nuova insegnante Rosemary Cross (Olivia Williams), della quale s’innamora perdutamente, e la nuova amicizia con l’apatico Herman Blume (Bill Murray) rende tutto ancora più complicato.

 

 

Rushmore” è un’opera che diviene vero e proprio laboratorio propositivo del pensiero di Wes Anderson, ai tempi sicuramente fece un effetto più debordante rispetto a quanto non possa riscontrare oggi quando il suo autore è ormai affermato ed in fondo ha pure portato a termine lavori più maturi, interessanti e conosciuti.

Ma rimane un tassello fondamentale di un percorso (molto) personale che ostinatamente rifiuta i più classici e collaudati meccanismi mettendo in scena personaggi schietti e dalle più disperate posizioni.

Max, che per certi versi è più maturo e per altri più acerbo della sua età di adolescente, quando si ficca in testa una cosa non si arrende di fronte nemmeno agli ostacoli più insormontabili, invece Herman è ingrigito da ciò che lo circonda ma ritrova una luce che però non offre la panacea dei suoi travagli (già avere due figli così distanti da se stessi non è un buon punto di partenza), mentre Rosemary è una giovane donna che si porta dentro un (recente) passato già troppo doloroso e che si ritrova nel bel mezzo di una complicata situazioni di rapporti (che degenerano per poi rinnovarsi continuamente).

Descrizioni riuscite, grazie ad un’impaginazione fantasiosa (quando Wes Anderson parte per la tangente trascina tutto e tutti), un registro che alterna il dolce e l’amaro con continuità disarmante, lasciando aperte la possibilità del conseguimento della felicità in un contesto nel quale i “no” sopravanzano gli scontati “” e per il contributo di interpreti, in parte pronti per una proficua fidelizzazione con l’autore di Houston (ai tempi nemmeno trent’enne, ma caparbio).

Spopola Jason Schwartzman, grazie anche un personaggio “larger than life” che si allarga e stringe in più direzioni (capace di tutto, in tutti i sensi), sorprendente Bill Murray, dolente e spento (lo sguardo è tutto un programma, ma anche i gesti non scherzano, vedasi ad esempio la doppia sigaretta accesa (inconsapevolmente?)), mentre si registra una delle migliori interpretazioni di Olivia Williams, con un personaggio così insolitamente comune da finire sotto un’attenzione plurima ed ingestibile e Seymour Cassel, in un piccolo ruolo (è il padre di Max) è quasi un toccasana di normalità, così distante dal figlio, ma sempre pronto al sorriso ed alla comprensione.

Infine c’è tanta buona musica che accompagna con costanza la storia e che a tratti si erge a protagonista (come accade in chiusura), per un’opera che si percepisce sotto pelle, che diverte (la battute sono parecchie, molte caustiche ed improvvise), ma che lascia prima di tutto addosso sensazioni distanti che si ritrovano a fermentare a stretto contatto.

(Molto) Gradevole e caratteristico.

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