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Ma mère

Regia di Christophe Honoré vedi scheda film

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La recensione su Ma mère

di degoffro
2 stelle

Dal film
"Guardami Pierre, sono una puttana, una cagna. Nessuno mi rispetta. Se mi ami veramente devi ammettere che sono ripugnante. E voglio che tu mi ami per questo: per la vergogna che ti ispiro!"
Di fronte ad operazioni così insulse, volgari, supponenti e pretenziose sorge spontanea una sola domanda: perché? Perché un'attrice del calibro di Isabelle Huppert, qui evidentemente distratta e dalla recitazione ovvia e convenzionale, si butta via nell'interpretare un personaggio maldestro, demenziale, senza spessore, offensivo per il suo immenso talento? Soprattutto considerato che solo 3 anni prima era stata la tormentata e perversa protagonista de "La pianista" intensa, torbida e dolorosa tragedia in nero firmata da Michael Haneke che descriveva in modo ben più profondo, incisivo e disturbante la deriva di una donna sull'orlo dell'abisso e moralmente sfatta e dissoluta. E dire che "la durezza ostile e tempestosa che aveva qualcosa di angoscioso" del personaggio letterario, il cui "lutto sottolineava la bellezza come un'indecenza" e che "ondeggiava tra la vergogna e il fascino, la galanteria e la gravità" nella consapevolezza che "nulla rende cattivi quanto l'essere felici" sembrava perfetto per le sue corde. Una donna, si legge ancora nel romanzo, per cui "il piacere comincia solo quando il frutto è bacato. Il nostro piacere diventa squisito a parte che si carichi di veleno. Tutto il resto sono cose da bambini. Faccio l'infelicità di tutti quelli che mi amano. E' per questo che cerco il mio piacere con donne di cui posso servirmi con indifferenza. Non ho rimorso a far soffrire gli altri, ma è un piacere estenuante." Peccato che di tutto questo nel film non ci sia traccia. Tratto dall'opera postuma ed incompiuta di Georges Bataille (in realtà ambientato a Parigi, nel 1906), "Ma mère" è fintamente scandaloso e terribilmente barboso, al pari dell'analogo "Novo", altrettanto osceno film di cui Honoré si era limitato a scrivere la vaneggiante sceneggiatura. Accumulo macchinoso, monotono e svilente di situazioni estreme che si vorrebbero scabrose, trasgressive e provocatorie ma suonano inutilmente grevi e gratuite, artefatte e pacchiane, spesso paradossali, quando non ridicole: il clou si tocca quando Réa, focosa amante della madre di Pierre e da lei convinta ad aiutarla a dare una scossa al figlio, durante una notte di baldorie si fa sostituire da una vecchia nella seduzione del ragazzo, soluzione degna delle peggiori gag della saga di "American Pie". Il tutto condito con presuntuosi e dissennati dialoghi filosofico-esistenziali di un intellettualismo da latte alle ginocchia, con un erotismo di quarta mano e con criptiche sequenze oniriche sulla spiaggia, luogo evidentemente molto amato da Honoré, se si pensa ad una sequenza "cruciale" del citato "Novo", sequenze che traducono goffamente in immagini quel "entrai in un abbagliante delirio e credetti di perdermi in DIO" di cui si legge nel romanzo. Personaggi risibili (madre e figlio), superflui (il giovane barista Loulou, vittima ma altresì amante di giochi perversi e sadomaso, nel romanzo però è una donna), irritanti e fastidiosi (Réa), sprecati (Hansi, interpretata da Emma De Caunes, volto seducente che non si dimentica, l'unica presenza degna di nota). "Non si costruiscono gli scandali con luci soffuse e odore di morte, con vestitini a fiori rosa shocking messi al servizio di seni debordanti e bellezze decadenti. Ma mère non impressiona, sconcerta." (Sentieri Selvaggi) In un film che è follia al cento per cento, spiccano almeno tre sequenze scult, ben al di sopra della media: Pierre scatenato sessualmente nell'ufficio del padre (episodio presente anche nel romanzo), il lungo amplesso in luogo pubblico tra Pierre e Réa, sotto gli occhi eccitati e compiaciuti della madre, la scena finale all'obitorio, quando Pierre, evidentemente non ancora stanco, inizia a masturbarsi furiosamente accanto alla salma della madre che si è suicidata, dopo essersi a lui concessa (libere ed assai opinabili interpretazioni dello sceneggiatore/regista). Kitsch all'ennesima potenza. L'aria di maledettismo è rancida ed il mix eros/thanatos raramente al cinema è stato così deleterio e fasullo. Il giovane Louis Garrel, dopo "The dreamers", sui set passa più tempo a spogliarsi, a masturbarsi e a vivere rapporti incestuosi che non a recitare: qui ci delizia persino con una bella pisciata in primo piano. Certo tutto sembra fuorché quel "cavaliere dalla triste figura" di cui parla Bataille. Vorrebbe essere un film disperato e decadente, purtroppo è disperante, decaduto ed improbabile, del tutto incapace di spiegare "cosa significhi la passione che tutto invade". A tratti potrebbe essere persino esilarante (Bataille nel romanzo scrive che "il riso è più divino ma anche più inafferrabile delle lacrime"), se non fosse così tedioso ed inutile. In colonna sonora, chissà perché, lo splendido "Adagio per archi" di Samuel Barber (che però non può l'impossibile, cioè rendere più suggestive e struggenti le sequenze sulla spiaggia) e "Happy together", celebre hit dei Turtles fatta sentire in tutta la sua gioiosa e contagiosa freschezza e vivacità proprio mentre Pierre insegue piangente ed affranto l'ambulanza che porta via la madre suicida. Mah...Sul complesso rapporto madre/figlio meglio rivedersi "La luna" di Bertolucci. "Ma mère", si dice rifiutato dal Festival di Cannes ed accolto invece a braccia aperte al Festival di Taormina, conferma purtroppo che l'erotismo d'autore produce solo disastri inverecondi, tanto da dare pienamente ragione a chi ha ironicamente e giustamente ribattezzato il film "Ma mer(d)e". Se è vero, come scrive Bataille che "il desiderio porta all'annullamento di noi stessi", certi film come questo portano all'annullamento del cinema, almeno come lo intendiamo noi. Mette a disagio pensare che in Francia celebri testate ("Le Monde" e "Liberation" su tutti) ne abbiano parlato bene. Sconfortante ed imbarazzante, persino insultante, mortifero e destinato ad imperituro oblio. Uscito in Italia V.M. di 18 anni. Di fronte a questo scempio come si può credere che il romanzo di Bataille, pur a volte faticoso e ripetitivo, sia profondo ed intenso? Eppure lo è.
Voto: 2

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