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Il fabbricante di gattini

Regia di Rainer Werner Fassbinder vedi scheda film

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La recensione su Il fabbricante di gattini

di EightAndHalf
7 stelle

Incontri/scontri fra esseri umani, rinchiusi in un asfittico rigore. "Tu non ti curi affatto degli altri. Loro invece parlano, raccontano un sacco di balle. Non sono capaci di fare altro. Tu invece sei un vero tesoro. Sai a malapena parlare. La cosa che mi piace di più" (Hanna Schygulla a Rainer Werner Fassbinder a braccetto camminando con una lenta carrellata all'indietro in una delle frequenti sequenze in cui parte la musica e si rivela il carattere automatico e inerziale delle vite dei personaggi). 
Il fabbricante di gattini è il secondo lungometraggio di Fassbinder, e già porta con sé la firma indelebile di colui che sarebbe stato da lì a poco un vero autore della storia del cinema, e che già da giovanissimo si distingue con uno stile desolante e assai cinico quale lo si riconosce anche nei primi cortometraggi e in L'amore è più freddo della morte. Messo in scena un nulla coperto da chiacchiere, fraintendimenti e bugie, Fassbinder realizza un'opera tutt'altro che semplice inerente il tema dell'esclusione e del razzismo, e questa è quantomeno la tematica di facciata, che subito si direbbe fondamentale: ma non è tema da Fassbinder, o almeno lui non ha l'interesse a costruire una storia vittimistica riguardante un reietto. Il palcoscenico su cui si muovono i protagonisti è infatti in realtà un campo minato che non fa differenze, che porta alla distruzione reciproca di tutti quanti con il semplice/letale utilizzo della parola. Chiacchiere, chiacchiere, chiacchiere, nei bar e sulla strada, dove le figure umane compongono ritratti disincantati di gioventù più che bruciata incenerita, "già invecchiata" nella misura in cui non è in grado di proporsi a una dimensione più civile e "adulta" se non con l'uso implicito e quasi mai rappresentato della violenza e del sesso, così da ridurre a zero la profondità dei rapporti sociali. Le donne o vivono infelicemente la loro vita matrimoniale o si prostuiscono, gli uomini sfruttano le loro donne e le impiegano in affari loschi illudendole di amarle, uomini e donne indifferentemente parlano e straparlano costruendo concettualmente scenari intrecciati e sconnessi, tramite sfrontati pettegolezzi il più delle volte non coincidenti con il reale, giusto, forse, per tedio di vita. Le parole e i gesti si ripetono, evocano un nulla inscalfibile cui il rigore registico di Fassbinder allude con straordinaria sagacia, come quando si immobilizza di fronte alle tavolate su cui giocano a una strana sorta di briscola, oppure quando raggela ciò che viene immediatamente prima o dopo un rapporto sessuale dimostrando che neanche l'appagamento carnale è ormai appagamento, e che è tutto inserito in un sistema inerziale che gira in loop e assurdamente non si stanca. Tra un dialogo e l'altro, la musa fassbinderiana Schygulla dice: E se non funzionasse? Quale desolazione; e con lei molte altre frasi sembrano brevi lampi di saggezza dispersi nel vuoto in cui tutti gli uomini galleggiano.
Ogni personaggio, in Il fabbricante di gattini, è chiuso con i suoi pensieri, isolato da un contesto invero vuoto e privo di significato, fatto di un arredamento sobrio e quasi assente su sfondi sempre bianchi chiari come in accecanti oblii. E l'arrivo dello straniero, interpretato proprio da Fassbinder, colora per un attimo le vite dei personaggi facendo focalizzare l'attenzione su di sé senza alcuna intenzione né interesse, facendo, in fondo, fare tutto a loro e alle dicerie svolazzanti che amano provocare e si deformano in bugie inclassificabili. Cosicché la vita, divenuta successione di inutili e "letali" riflessioni, si appiattisce in quadri di duro sarcasmo e abbacinante minimalismo, in cui è proprio il mantenimento dell'immobilità della mdp a dare paradossalmente "movimento" a uno stile apparentemente sobrio ma scoppiettante, straniante, sperimentale nel momento in cui gioca con i silenzi, tramortisce con le onnipresenti voci e avvolge nelle inestricabili intersezioni della figurale cecità umana.

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