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Japón

Regia di Carlos Reygadas vedi scheda film

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La recensione su Japón

di Peppe Comune
8 stelle

Un uomo (Alejandro Ferretis) si fa trasportare in auto fino ad una zona desolata. E' diretto ad Ayacatzntla, un paese sperduto che si trova sotto le pendici del canyon messicano. L'uomo è un pittore ed è alla ricerca di un posto tranquillo perchè ha intenzione di suicidarsi. Il "giudice" del paese (Rolando Hernàndez) lo indirizza da Ascen (Magdalena Flores), un'anziana donna che vive tutta sola in una zona isolata del paese, in compagnia degli animali e della sua fervida religiosità. Ascen gli offre senza problemi ospitalità, senza fargli domande e senza pretendere nulla in cambio. Poi arriva Juan Luis (Martin Serrano), un nipote di Ascen uscito da poco dal carcere, che viene a reclamare quella parte della casa adibita a fienile come suo legittimo possesso.

"Japón" del messicano Carlos Reygadas è un film che si nutre di sensazioni, di cose non dette e fatti non mostrati che vanno desunti dal valore simbolico delle immagini. Il film si apre sul traffico brulicante di Città del Messico. Poi si segue un auto che si incammina verso una zona isolata che si fa sempre meno verde e sempre più brulla. Quindi conosciamo l'uomo che si è fatto trasportare fino a quel luogo, con la sua borsa contenenti le poche cose che si è portato con se e un bastone che serve a sorreggere il suo passo claudicante. Sembra provenire da nessun luogo ed il posto dove si accinge ad andare è appena lambito dalla civiltà degli uomini. In tutta questa prima parte del film, fino all'arrivo dell'uomo ad Ayacatzntla, si palesano la presenza di una vegetazione selvaggia, dei cacciatori armati tutto punto, un pascolo di capre, un passerotto a cui viene staccata la testa dal collo, l'agonia di un maiale, una macelleria che mette in bella mostra frattaglie d'animale. Se a tutto questo aggiungiamo una messinscena dalla veste stilistica amatoriale, con delle inquadrature mosse e dai colori sgranati, allora si può dire di avere indizi sufficienti per ricavare l'idea che a emergere subito come matrice poetica del film è un rapporto di tipo istintuale tra l'uomo e la natura circostante, un rapporto scolpito nello stato delle cose, rispondente ad una precisa ritualità dello stare al mondo : quella che conserva una natura principalmente arcaica e un carattere affatto volontaristico. "Come mai va in un paese sperduto come quello signore", chiede uno dei cacciatori incontrati lungo la strada. "Per uccidermi", risponde il pittore. Il cacciatore non batte ciglio, quella gli sembra una risposta più che ragionevole. Quei luoghi dove l'uomo è diretto non possono che ospitare l'ineluttabile. Poi arriva la calma assoluta, quella che ricerca l'uomo, perchè "serve molta serenità per poter prendere una decisione". Una calma che non distoglie lo sguardo dal senso di morte che ha imprigionato l'uomo, ma che lo indirizza verso la riscoperta di sensazioni che riteneva perdute per sempre. E' a questo punto (mi sembra di poter dire) che Reygadas gioca col valore simbolico di quanto ci viene rappresentato : mostrandoci lo regressione emotiva e culturale dell'uomo come atto di suprema resurrezione. L'incontro con il cadavere di un cavallo lasciato perire abbandonato e il sopraggiungere di una pioggia torrenziale che sa di atto purificatore (in una sequenza di struggente bellezza), sembrano far riscoprire all'uomo il senso della gratuità peccaminosità esistente nell'uomo. I quadri che dipinge, i libri di pittura che si è portato appresso, la musica classica che ascolta ripetutamente, sono i riflessi dell'anima ancora razionale dell'uomo, i simulacri di un'esistenza che si è ridotta "all'originario" appagamento dei suoi più bassi istinti. E' Ascen l'altra faccia del mondo, l'alterità che interviene a mettere in riga la coscienza dell'uomo. La casa di Ascen, il fienile che ospita il pittore, diventono un mondo a se, un mondo dove avviene l'incontro tra il sacro e le pulsioni sessuali secondo una modalità ricettiva che è iscritta in un' attitudine propria dell'essere uomo : quella di saperli riconoscere da sempre, e in maniera istintuale (appunto), come atti significativi per l'equilibrio fisiologico della propria esistenza. L'incontro tra l'uomo e Ascen è quello tra chi intende togliersi la vita (e il perchè di questa decisione non è dato sapere) e chi rinfranca la vita attraverso la semplicità della sua antica saggezza. C'è un dialogo tra i due che ritengo abbastanza emblematico in tal senso. "Serve serenità per lasciare le cose a cui siamo abituati ma che in realtà non vogliamo più. Bisogna saper eliminare ciò che non è necessario", dice l'uomo. "Però è meglio aggiustare che buttare via no ?", ribatte Ascen. "Si, ma ci sono cose che non si possono aggiustare ed è meglio buttarle che vivere aggrappati ad esse solo per abitudine", prosegue ancora l'uomo. "Credo di capirla signore, però, vede, anche se a me non piacciono le mie braccia vecchie e malate non me le toglierei lo stesso", chiosa infine la vecchia. L'incontro tra l'uomo e Ascen sarà travolgente per entrambi e avrà nella pietra lo strumento che servirà ad intrecciare ancora di più i rispettivi destini. Si la pietra, quella che domina imperitura il magnifico paesaggio circostante, la stessa con cui è costruito il fienile che serve ad Ascen per conservarvi il raccolto e che suo nipote viene a reclamare come suo legittimo possesso. La pietra ridotta a merce di scambio, a oggetto del contendere, a simbolo dell'avere. La pietra adagiata su dei carri a rimorchio per essere trasportata lontana dal luogo in cui è sempre servita. La pietra che trasforma l'ordine delle cose. "Japón" è un bel film, ostico ed affascinante insieme, il primo di un autore da tenere in debita considerazione.

 

 

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