Regia di Mario Bava, Lamberto Bava vedi scheda film
Duro, concreto, insostenibile, il penultimo film di Mario Bava sfortunato e invisibile per molti anni, rivisto oggi mantiene tutta la sua forza estetica. Gli anni settanta con la loro violenza fanno da contesto-cinema da cornice, visto che il film inizia come un poliziottesco e finisce come non ti aspetteresti mai. Nel mezzo c’è la capacità visionaria di un regista che ti inchioda ai sedili di un auto dove il rapporto tra rapitori e rapiti ti fa sentire tutta la sua tensione violenta e psicologica, che non cala nemmeno fuori dalla macchina. Al nostro non interessano né la violenza estrema e politicizzata di quegli anni e nemmeno il banditismo romantico. Bava non vuole spiegare come nasce la violenza, vuole farti sentire i rumori, gli odori e la paura della situazione. L’etica del film è quella di mostrare tutto il nichilismo della violenza dove le efferatezze sono più minacciate che compiute, comunque sempre possibili. L’estremismo formale del film non poteva fare a meno di dialoghi convincenti, per una volta la sceneggiatura con il suo realismo spietato nel tracciare i rapporti tra ladri e ostaggi regge alla grande, insieme alla follia anarchica dei due cani arrabbiati seduti sul sedile posteriore. I loro nomignoli dicono tutto, di uno lo capisci subito dell’altro no, quello che conta è scoprire il motivo per cui ricorderemo sempre un cantante passato dal clan di Celentano e che si metterà a fare l’attore. Uno dei film più duri del nostro cinema, per conferma chiedere a Tarantino,un viaggio da fare almeno una volta nella vita sempre che non soffriate il mal d’auto e che quindi non siate costretti a mettere la freccia e fermarvi a riprendere fiato.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta