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Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera

Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film

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La recensione su Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera

di giancarlo visitilli
8 stelle

La vita di un uomo, dall’infanzia alla senescenza, passando attraverso l’adolescenza e la giovinezza. A ritmo delle stagioni.
Kim Ki-Duk, il regista conosciuto qualche anno fa a Venezia in occasione della presentazione del suo altrettanto bel film in Concorso, L’isola, nato a Bonghwa e poi trasferitosi a nove anni a Seul, è lo stesso autore di un film immenso come Primavera, estate, autunno, inverno… E pensare che Ki-Duk, privo di ogni cultura filmica, ha cominciato la sua carriera da autodidatta, sperimentando con i pochi mezzi a sua disposizione la possibilità di raccontare storie attraverso i suoi film, da lui considerati “scritti autobiografici”.
Con Primavera, estate, autunno, inverno..., questo regista traccia la linea del tempo, una sorta di parabola zen, e quindi quella di un monaco buddista e del suo maestro, che vivono in un piccolo monastero galleggiante su un lago di montagna.
Il dolore e la tortura, ma anche la malattia, l’omicidio e la morte, insieme alla colpa e all’espiazione, come i ‘colori in una tavolozza’ conferiscono un certo aspetto a tutto ciò che sta al di là (dai paesaggi naturali a quelli del cuore) della vita di ogni personaggio. Naturalmente, lo sguardo è di gran lunga distante rispetto a quello occidentale. Qui, protagonista è la natura incontaminata dei luoghi, all’interno dei quali il tempo e lo spazio vitale dell’uomo pulsano in sincrono con quelli degli animali, delle piante e del cosmo in genere.
Senza essere noiosamente didattico o artificioso (il rischio per ogni regista che si cimenti con determinati temi), nonostante la trama minimale e l’identico scenario, per tutta la durata del film, Kim Ki-Duk, in fondo, ha voluto raccontare di quegli unici elementi che dovrebbero costituire una sorta di legame universale per la vita dell’umanità, uno su tutti la Pace. A quest’ultima infatti, in occasione di questo film, andrebbe un Oscar, in quanto è onnipresente: nei paesaggi, nello sguardo e nei dialoghi dei protagonisti e nei pochissimi movimenti di macchina, le cui inquadrature semplici e ripetitive, stanno lì a sottolineare quanto è vero che “chi va piano…”. Il buddismo nel film fa da cornice, ma la lettura di questo film è inter-religiosa, inter-culturale, universale, perché si tratta della descrizione del cammino dell’uomo, che vive (o dovrebbe ricominciare a pensarci seriamente) a ritmo delle stagioni: gli amori e gli impulsi sessuali della stagione primaverile; il pulsare del sangue di pari alla linfa vitale della vegetazione estiva; il ritmo sincopato dell’autunno, prossima preparazione alla pausa invernale.
Ma Primavera, estate, autunno, inverno… è soprattutto un cammino verso la Libertà, nella convinzione che non esiste nessun tipo di libertà che non implichi un legame con qualcuno o qualcosa. N’è metafora, nel film, il nodo con la corda che il piccolo monaco utilizza ora per la rana, poi per il pesce e per il serpente, e che altri saranno pronti a legare intorno alla vita del monaco, gravata, in proporzioni maggiori dalla caducità della vita umana. Torna, come negli altri film dello stesso regista, un’inquietudine di fondo, legata all’impossibilità per l’uomo di accettare un dolore che s’è fatto ormai esistenziale e che come un morbo logora fino alla morte. Se ne L’isola una maggiore crudezza emergeva in rapporto al sangue, qui tutto ha a che fare con il fluire di questo nelle vene della storia di ognuno, delle piante, degli uomini, come degli animali.
La stessa soluzione, anch’essa metaforica, a voler far incidere da parte del piccolo monaco, e con fatica, la preghiera di perdono sul pavimento di una casa sospesa e non in equilibrio, sta a dimostrare la fugacità e la precarietà di ogni atto umano dinanzi al cosmo. Anche il perdono è fugace, come ogni altra forma di espiazione, trattandosi poi di concretezza di vita, dello stridente contrasto fra il cielo e la terra.
Come un pittore-scultore, ma anche sceneggiatore-montatore-scenografo e direttore-attore, Kim Ki-duk sembra far sue le parole di un noto cantautore italiano che racconta di quella stagione dell’amore che viene e che va, consapevole che se penso a come ho speso male il mio tempo… che non tornerà, non ritornerà più.
Giancarlo Visitilli



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