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Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera

Regia di Kim Ki-duk vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera

di obyone
8 stelle

 

Primavera: la morte è una pietra levigata attaccata alla coda di un pesce e al ventre squamoso di una serpe. La coscienza della caducità della vita mette fine alla fanciullezza ed il rimorso fagocita la spensieratezza nelle lacrime amare di un piccolo uomo che ha scoperto il male e l'oscurità, indissolubilmente legate al bene e alla luce.

Estate: la meditazione, l'isolamento, l'ascesi mistica per annichilire ogni brama e ogni desiderio. È quanto mai ostica la via che porta alla eterna beatitudine. La giovinezza è desiderio, scoperta, amore. Il giovane monaco unisce la propria solitudine al mal di vivere di una ragazza senza sorriso, ancor più sola in una società sempre più individualista e materialista.

Autunno: le pulsioni della giovinezza hanno influenzato le scelte del giovane monaco. Mentre il nirvana è lontano, il ricordo della perfezione è intarsiato nella mente obnubilata del giovane che, oramai adulto, torna sui propri passi alla ricerca di quell'armonia assaporata prima di sprofondare nell'infelicità. La sutra incisa nel legno, in una dura e sanguinosa notte di lavoro, mentre la giustizia terrena aspetta di fare il proprio corso, sintetizza che nella vita tutto è vano: "La forma non è diversa dal vuoto, il vuoto non è diverso dalla forma, la forma è proprio tale vuoto, il vuoto è proprio tale forma". Anche la giustizia degli uomini è vana come lo è ogni cosa che interferisca con l'annientamento personale (il rogo purificatore) che conduce alla suprema bellezza.

Inverno: l'animo è finalmente libero da ogni desiderio, da rabbia e malizia e da ogni pulsione. Lo spirito ed il corpo sono rinfrancati dal gelo. Il dolore è sempre in agguato ma un bimbo ricorda all'uomo che la saggezza va tramandata con costostanza e fatica (la scalata).

 

 

Dopo la controversa presentazione de "L'isola", in concorso a Venezia '57, con "Primavera, estate, autunno, inverno...e ancora primavera" Kim Ki-duk si immerge, nuovamente, nelle acque fresche di un lago incastonato tra montagne rigogliose di vegetazione. L'ambientazione ricorda in tutto e per tutto il capolavoro veneziano benché i toni della narrazione siano decisamente diversi. Kim Ki-duk non rinuncia a raccontare la solitudine ma cerca di riempire il vuoto che essa occupa nel cuore delle persone con un'intensa spiritualità che si sostituisce alla piú cruda e violenta rappresentazione delle passioni che incatenano l'uomo ai propri istinti primordiali rendendolo schiavo di se stesso. Girato, in gran parte sulla chiatta in cui sorge un tempio buddistha, in mezzo ad uno specchio d'acqua che riflette gli stati d'animo e le inquietudini moderne, il film abbandona le atmosfere cupe del precedente capolavoro "acquatico", sostituite dal carisma meditativo del maestro che divide il proprio tempo tra preghiera, ascolto e disciplina. Il maestro ha scelto la purezza e la contemplazione rinunciando alla violenza e alle emozioni incontrollabili della fisicità più estrema e feroce. Forse il maestro non è sempre stato incline all'introspezione e forse la sua vita è stata scandita dalle umane debolezza prima di dedicarsi anima e corpo al culto. Kim sembra credere che gli eventi si ripetano secondo un principio di circolarità immutabile per cui tutte le esperienze umane sono comuni a tutte le creature, a tutte le epoche. Non si spiega altrimenti l'epilogo finale in cui l'allievo prende il posto fisico e spirituale che fu del maestro prima di lui, e di cui ripete i gesti liberatori. Come in quadro di Klimt il regista koreano racconta le stagioni dell'uomo e il continuo perpetuarsi delle esperienze umane segnate da rabbia, passioni, insoddisfazioni, paura e solitudine. La rettitudine è la via che conduce al Nirvana, e come nel mondo cristiano anche la più tardiva, ma sincera, conversione conduce alla vita eterna, così la fedele disciplina aiuta l'uomo a liberarsi dal vano ciclo delle reincarnazioni che lo allontanano dall'estinzione ultima della vita e dalla pace imperitura. Nemmeno il vecchio e saggio maestro capace di annullare la propria personalità e imprimere un radicale rifiuto del mondo terreno riesce ad evitare il destino beffardo del karma. La sua condotta, tuttavia, gli consente di rinascere nelle forme di un serpente custode del tempio e della consapevolezza dell'essere. Le nostre azioni ci dicono chi siamo e cosa saremo e se la nostra disciplina sarà ferrea forse potremmo influenzare il nostro destino. Rispetto a "L'isola" il maestro koreano è meno audace da un punto di vista visivo ma non si può dire che manchi una ben precisa simbologia, mutuata dal buddismo, che lo rende estremamente affascinante agli occhi occidentali. Il cane esplicita la superbia del bambino che impone la morte agli sventurati animali che convivono nella pozza d'acqua nel segmento "primavera". In "estate" il gallo simboleggia il desiderio e l'attaccamento che decretano la fine dell'esperienza mistica del protagonista mentre in "autunno" il gatto diventa emblema dell'armonia spirituale raggiunta dal maestro e del proprio allievo. Se il vecchio maestro abbandona la vita terrena lasciando posto ad una biscia, allegoria della comprensione, la tartaruga è metafora del fine ultimo a cui le creature sono chiamate ossia il raggiungimento di quella beatitudine che il nuovo maestro ha fatto propria dopo errori indicibili. "Primavera, estate, autunno, inverno...e ancora primavera" è un film che va assaporato senza pre-concetti e va rivisto nella luce di una mistica orientale a noi poco chiara e spesso fraintesa. Il messaggio spirituale del maestro Kim Ki-duk rimane, tuttavia, sempre limpido, come le acque placide e trasparenti del lago: l'uomo ha bisogno di un'intensa spiritualità per non rimanere schiacciato dai propri istinti. 

 

DVD - Edizione CG Home Video

 

 

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