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Bar Titanic

Regia di Emir Kusturica vedi scheda film

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La recensione su Bar Titanic

di OGM
6 stelle

Un dramma errabondo: la storia di due uomini che si ritrovano, per caso, in due ruoli opposti,  che li vedono nemici mortali, vittima e carnefice, senza un vero perché. Mento Papo, detto Hertzika,  è il gestore di un bar, Stjepan Kovich il figlio di un suo cliente, un uomo attaccato alla bottiglia. Passano gli anni, e il primo continua a restare in quel luogo che gli dà da vivere, il secondo, dopo la morte del padre, è invece costretto ad emigrare, per trovare un lavoro. Per il primo non cambierà nulla, mentre al secondo il destino non darà tregua, inducendolo, più volte, a cambiare città, mestiere, condizione. Scoppierà la guerra, e il primo sarà quello che, suo malgrado, è sempre stato, ossia un ebreo sefardita, e il secondo diventerà, invece, improvvisamente, un suo persecutore. In mezzo c’è l’oceano, con i suoi pericoli, le sue insidie e i suoi abissi capaci di inghiottire interi transatlantici, e centinaia di vite umane. Il locale di Hertzika è un po’ come il mare: un luogo di transito, attraversato dalle burrasche che sconvolgono le singole esistenze, e movimentato dalle amicizie passeggere, nate intorno ad un bicchiere, e dagli odi estemporanei scatenati dai fumi dell’alcol e dalla foga del gioco d’azzardo. Un mondo opaco di vizi e di rabbia, in cui un giovanissimo Kusturica, fresco di diploma, trova il pane in cui affondare i suoi denti affamati di un tipo particolare di malinconia, che si sposa agli impulsi primitivi, ma si consola ricorrendo alla poesia. È la tristezza abbrutita, eppure artisticamente vitale, di un dipinto di Toulouse-Lautrec, in cui anche il suono monocorde della solitudine riesce a svilupparsi in melodia. Nel romanzo del premio Nobel Ivo Andric, Kusturica trova l’istinto, la perversione e la debolezza umana, che sono altra cosa rispetto alla violenza del mondo, però sono le micidiali appendici con cui essa si fa strada dentro le anime degli individui. E trova la musica e la fotografia (già presenti in Guernica e nel coevo Arrivano le spose), che sono possibili opzioni per cercare di fermare il corso della storia, anche se solo per un attimo. Il rumore di fondo di questo film è il sordo borbottio dell’abisso, che confonde i pensieri, soprattutto nelle menti povere di contenuti ed ingolfate dalle preoccupazioni quotidiane. Hertzika e Stepan si perdono, e si lasciano frastornare, perché si sono volontariamente sradicati dalle loro origini, anche in senso culturale: il primo ha rifiutato i principi morali della sua comunità religiosa di provenienza, il secondo non ha ascoltato il consiglio paterno di dedicarsi agli studi. Sono due uomini in balia di se stessi, che Kusturica ritrae in maniera frammentaria e discontinua, anticipando quel disorientamento che caratterizzerà la rappresentazione del mondo nelle sue opere principali. La mano sembra ancora incerta, ma decisa è la volontà di dare una veste surreale allo sbandamento: una raffigurazione trasognata, che torna prontamente sulla terra nel momento in cui, di quel vagabondare, si paga tragicamente il conto.

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