Regia di Ahn Byeong-ki vedi scheda film
Ji-won è una giornalista che ha appena pubblicato un articolo sulla pedofilia, e che subito dopo la pubblicazione dello stesso si trova perseguitata da minacce telefoniche, le quali diventano sempre più frequenti e inquietanti. Inizia ad avere tremende allucinazioni e ad avere paura di se stessa, fino a quando Young-fu, sua nipote, risponde ad una delle terrificanti chiamate, da quel momento in poi Young-fu si comporterà stranamente, presagendo per Ji-won, un futuro di insostenibili scoperte.
Definito come la risposta coreana al “Ring” giapponese, “Phone” giunge nelle sale europee con due anni di ritardo e tante aspettative da soddisfare, dato che viene apostrofato dai tamburini internazionali come “…l’horror che in oriente ha battuto tutti i record d’incassi…”, “…dopo “The Eye” un film che colpisce nel segno…”, ecc. E bisogna esser sinceri, il film di Byeong-ki Ahn, solo in parte risarcisce le attese, lo fa perché la prima metà del film è davvero ottima, inquietante e raffinata, non lo fa perché al contrario della prima, la seconda appare totalmente vaga e incomprensibile, anche se costituisce numerose buone trovate orrorifiche e metaforiche. Certo, quasi sempre gli horror orientali sono perfettamente efficaci, colpiscono davvero nel segno, ma che confusione, quanti sconvolgimenti, si parte da un incipit attento e intelligente, e si finisce per il non capire più nulla, per essere inghiottiti dalla confusione mentale di registi fantasiosi, non c’è che dire, ma senza un briciolo di cognizione di causa, di rapporto ordine di idee – fantasia condiscendente. L’elettricità come parte integrante della nostra circolazione sanguigna e alcune trovate arrendevoli e tecnologiche fanno bene a “Phone”, prodotto comunque intelligente e distributivo, che rimescola fin troppo visibilmente i fantasmi del passato giapponesi o gli elementi portanti degli ultimi horror orientali. La Walt Disney Pictures contribuisce al progetto, di un film in ogni caso troppo rimasticato e incomprensibile per risultare riuscito, ma che è sicuramente molto più convincente del “The Call”di Takashi Miike, che esce un anno dopo la realizzazione di “Phone” e segue fedelmente le intenzioni del film in questione, riuscendo addirittura a fare peggio in quanto originalità, aggettivo che comunque può invece bene o male essere adeguato a questo buon horror coreano, che sa dove vuole andare a parare, anche se non lo fa mai capire allo spettatore.
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