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Tu chiamami Peter

Regia di Stephen Hopkins vedi scheda film

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La recensione su Tu chiamami Peter

di Paul Hackett
4 stelle

La vita, la parabola artistica, gli amori, le passioni e i controversi rapporti familiari del grande Peter Sellers, protagonista di capolavori della storia del cinema come "Hollywood Party" e "Il dottor Stranamore". I biopic sono materiale estremamente scivoloso, laddove non si rischia l'agiografia, frequentemente si eccede nell'opposto difetto di restituire un'immagine a dir poco dissacrante di personaggi che, quantomeno per lo spessore artistico del proprio lavoro, avrebbero meritato un approccio decisamente più rispettoso. E maggior delicatezza avrebbe meritato senz'altro la figura del grande Peter Sellers, che è stato notoriamente un personaggio assai complesso e controverso, pieno di lati oscuri da un punto di vista artistico e sopratutto umano, ma che meritava di essere rappresentato più congruamente, partendo magari da una base forse più attendibile della discussa biografia "The life and death of Peter Sellers", a quanto pare definita "rubbish" dal figlio dell'attore Michael e firmata nel 1995 dall'appena trentacinquenne Roger Lewis (non certo testimonianze di prima mano le sue, era appena nato negli anni raccontati nel suo libro). Il ritratto di Peter Sellers che ne viene fuori è a dir poco diffamatorio: marito fedifrago, inveterato satiro e puttaniere, cinico manipolatore, padre anafettivo e quasi sadico, divo bizzoso ed arrogante, essere umano infantile e capriccioso... un vero disastro e io, francamente, mi rifiuto di pensare che la realtà sia stata così manichea e priva di sfumature. Il film di Stephen Hopkins, sebbene tetro e deprimente, non è del tutto indegno ed alcuni passaggi onirici e grotteschi sono suggestivi e ben girati ma davvero non riesce a chiarire in maniera credibile il grande punto interrogativo che, dai titoli di testa fino a quelli di coda, resta lì, immobile e intoccato: chi diavolo era Peter Sellers e, al di là degli scandalismi e delle storie di sesso che ne hanno costellato l'esistenza, cosa dovrebbe insegnarci la sua parabola artistica ed umana? Gli attori coinvolti nel progetto sono tanti e di notevole spessore, ma abbastanza sprecati: Geoffrey Rush si cala nel ruolo con mostruosa abilità e partecipazione, ma finisce per vampirizzare l'intero film e l'intero cast con una interpretazione strabordante ed invero eccessiva, lasciando le briciole a bravi interpreti come Charlize Theron, Emily Watson, John Lithgow, Stanley Tucci (in un ruolo secondario anche la mia concittadina Sonia Aquino che, tutto sommato, se la cavicchia) che non hanno proprio spazio per approfondire la psicologia dei loro personaggi (ed è davvero un peccato: Blake Edwards... Stanley Kubrick...). La classica occasione mancata: voto mediocre.

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