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La mala educación

Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film

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La recensione su La mala educación

di FilmTv Rivista
8 stelle

Un bambino che canta con voce cristallina Moon River (e ogni riferimento ad Audrey Hepburn è dichiarato). Lo stesso bambino, ormai cresciuto, con un esplosivo seno chirurgico e da bombardamento di ormoni, tossicodipendente, amareggiato e perduto usa la macchina da scrivere per ricomporre la memoria di un passato infelice e come arma di ricatto. Un giovane sfrontato e bugiardo che ha bisogno di due nomi (Angel e Juan), e accarezza la tentazione di un terza identità, travestita, quella di Zagara, con una parrucca bionda, una sessualità rapace e le pose di una diva storica, Sara Montiel. Un’icona perversa e polimorfa, fonte di autoerotismo infantile e soprattutto di ispirazione per quella “falsa vita” che scorre dentro i fotogrammi de La mala educación e in moltissimi altri film di Pedro Almodóvar che continua a stupire, ad emozionare, a coinvolgere con un cinema, stilisticamente, sempre più essenziale, composto, classico, densissimo nella geometria rarefatta e molto precisa della messa in scena. La falsa vita almodovariana, piena di sorprese, non significa una vita non autentica, non è il sembiante di un’esistenza in cui emozioni e dolori non siano genuini, in cui le falle del destino dei personaggi non siano vere. Significa che Almodóvar parla con se stesso e con noi attraverso le immagini e l’immaginario del cinema. Non è, per questo, l’autore - conviene ribadirlo - di una filmografia cinefila o metacinematografica. Cosa che lo congelerebbe in una sensibilità depauperata e infeconda. Il romanzo d’iniziazione e d’amore di Ignacio ed Enrique, il collegio religioso e la pedofilia (ridurre il film a una tesina sull’abuso sessuale è come guardarne alcune sequenze e dimenticare tutto il resto), la “buona educazione” e la scoperta del cinematografo, l’omicidio e il danno, la Spagna dell’altro ieri e di ieri, l’anima nera di Angel/Juan e la passione pericolosa dell’uomo che volle togliersi la tonaca senza riuscire a spogliarsi dei propri desideri, le ottime performance degli attori che mentono e “recitano” dentro un film che ne incorpora uno in lavorazione e tanti altri nella mente di Almodóvar, i cattivi e quelli ancora peggiori, le canzoni di una playlist interiore e un’innocenza che non è mai stata perduta perché per i personaggi non è mai esistita, l’archetipo dell’homme fatal che scalza la femme e si maschera come le creature torbide, trepide e folli, incatenate tra le maledizioni del noir e l’infelicità perfetta del melodramma.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 42 del 2004

Autore: Enrico Magrelli

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